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Antiebraismo, antisemitismo, antisionismo

Pubblicato da In dies Info il 6 dicembre 2025
L’antiebraismo è la contrarietà a una
religione, l’antisemitismo a un popolo individuato come una razza,
l’anti-sionismo è invece la lotta all’esistenza dello Stato di Israele e/o anche
solo alla sua politica.
Si tratta quindi di tre concetti diversi che sono ben distinti e ciascuno di
essi non comporterebbe gli altri due. Tuttavia, nei nostri tempi, in realtà
vengono a confondersi anche perché comunque, in linea generale, tutti e tre
finiscono con il prendere di mira le stesse persone: gli ebrei.
Gli ebrei infatti vengono visti comunque come appartenenti a una religione
diversa (anche se in realtà poco la seguono), a un popolo geneticamente
individuato (anche se sono fisicamente diversi) e comunque sostenitori dello
Stato di Israele anche se non tutti lo sono, e in particolare della politica di
questi ultimi anni.
Cerchiamo allora di fare chiarezza sui tre concetti.
Antiebraismo
Nel mondo cristiano la distinzione era
semplicemente religiosa. Non solo Gesù e Maria erano ebrei, ma anche i primi
fondatori e santi cristiani erano ebrei. In un mondo in cui non si concepiva la
libertà religiosa, l’ebreo aveva il torto di non riconoscere il Cristo e la
Buona Novella, ma se si convertiva non era più ebreo, bensì un cristiano come
gli altri: per legge di probabilità, ognuno di noi ha un qualche antenato ebreo.
Per i cristiani gli ebrei non convertiti erano il popolo deicida, quelli che
avevano crocifisso Gesù e ne avevano assunto la responsabilità su loro stessi e
sui loro discendenti (come riferiscono i Vangeli). Solo con il Concilio Vaticano
II si è chiarito con nettezza e decisione che non esiste una responsabilità
collettiva degli ebrei in quella condanna e comunque non certo per gli ebrei di
oggi.
Si pensa anche e soprattutto a un motivo economico: poiché gli ebrei erano
esclusi dal possesso della terra — la ricchezza del Medioevo — si occupavano di
commercio, arti e anche di prestiti (usura), proibita ai cristiani; da qui
l’odio popolare e la voglia di non pagare debiti.
Comunque questi episodi erano sempre occasionali e gli ebrei aspettavano che
passassero (così fecero anche per la Shoah, che invece non passò).
Non è che gli ebrei fossero sempre perseguitati, ma a tratti scoppiavano rivolte
popolari contro di essi. I motivi erano spesso dicerie assurde, come quelle
secondo cui gli ebrei avrebbero sacrificato dei bambini per oscuri riti
religiosi. Ad esempio, nella Castiglia di Isabella si diffuse la voce che la
sparizione di un bimbo fosse dovuta al rapimento da parte di ebrei (el niño de
la Guardia, poi addirittura santificato) e gli ebrei furono espulsi dal Paese.
Infatti, mentre altri gruppi religiosi — pagani, musulmani in Sicilia e Spagna,
tutte le innumerevoli eresie — sono spariti, gli ebrei sono rimasti.
Gli ebrei sono quindi l’unico gruppo
etnico-religioso sopravvissuto dall’antichità fino ai nostri giorni: se fossero
stati sistematicamente perseguitati e combattuti, questo non sarebbe accaduto.
Nell’Impero romano due terribili rivolte contro Roma portarono all’eccidio degli
ebrei di Palestina e al divieto di risiedervi. Gli ebrei invece, già emigrati
nel resto dell’Impero, non furono affatto né molestati né perseguitati (come
invece i cristiani). Quindi i romani, malgrado le spaventose rivolte in
Palestina, non considerarono gli ebrei negativamente.
Anzi, è ben strano che, benché gli ebrei, come i cristiani, non sacrificassero
all’imperatore, non furono perseguitati, come invece lo furono i cristiani.
Dobbiamo allora pensare che la vera causa delle persecuzioni dei cristiani fosse
un’altra e non quella del diniego di sacrificare: i Romani ebbero sempre grande
tolleranza religiosa per tutti i culti.
Anche nel mondo islamico non si hanno notizie di persecuzioni importanti come
nel mondo cristiano e gli ebrei svolsero un ruolo molto notevole nella cultura
e civiltà araba. Infatti gli ebrei erano considerati, come i cristiani, “popoli
del libro” (Ahl al-Kitab). Solo con la fondazione di Israele furono espulsi in
massa dai Paesi arabi (più o meno lo stesso numero dei profughi palestinesi).
Antisemitismo
L’antisemitismo invece è un pregiudizio
genetico. Ma l’idea che la cultura si erediti geneticamente ormai non è più
condivisa da nessuno o quasi e quindi questo termine, ora tanto in uso comune,
non avrebbe più senso.
Nel mondo secolarizzato dall’800 si affermò la libertà religiosa e quindi anche
degli ebrei, che poi in genere divennero in massima parte atei: diciamo che
tutti quelli che hanno contribuito alla cultura occidentale, da Marx a Einstein
a Freud ecc. ecc., erano non credenti.
Si passò allora dall’antiebraismo (religioso) all’antisemitismo, cioè all’ebreo
come stirpe e non come religione: nell’antiebraismo un ebreo cristiano non era
più un ebreo, mentre nell’antisemitismo un ebreo cristiano rimane un ebreo.
I nazionalisti cominciarono a vedere con sospetto gli ebrei, ritenuti
internazionalisti con parenti sparsi nel mondo e per questo poco affidabili
(caso Dreyfus, ad esempio).
Si passò poi, soprattutto con il nazismo, all’idea di razza e quindi agli ebrei
come razza chiamata impropriamente “semita” (che è invece propriamente un gruppo
di lingue parlate in Medio Oriente e quindi sarebbero oggi soprattutto gli
arabi).
Per quanto riguarda la razza, a parte le evidenti differenze somatiche (i
Falascia sono addirittura neri), che evidenziano la commistione con altri
popoli, il fatto di avere un patrimonio genetico comune non implica
caratteristiche culturali e psicologiche uguali.
Si potrebbe allora parlare di una cultura nazionale che, secondo la visione
ottocentesca dei popoli, caratterizzerebbe ogni popolo.
Ma pure questa identità culturale ebraica distinta da quella dei popoli presso
cui vivono, in realtà, non esiste, a parte la religione.
Invece gli ebrei, non più distinti dalla religione, in pratica tendevano a
fondersi con le popolazioni e quindi rischiavano di scomparire; la fondazione di
Israele aveva più che altro lo scopo di evitare questa sparizione.
Anche per lingua gli ebrei non parlano affatto
l’ebraico già dal V secolo a.C., ma l’aramaico (una variante del siriaco o
assiro). Poi hanno parlato le lingue dei popoli presso i quali vivevano. Quelli
dell’Europa orientale (ashkenaziti) erano stati espulsi dalla Germania, ma ne
conservarono la lingua tedesca di quel tempo (Yiddish): infatti capivano i
nazisti che li deportavano.
Quelli espulsi dalla Spagna (sefarditi) conservavano spesso anche lo spagnolo.
L’ebraico era una lingua liturgica: è come se dicessimo che i cattolici parlano
il latino.
Solo in tempi recenti, sulla base dell’antico ebraico, è stata formata la lingua
che ora si parla (solo) in Israele.
A parte che la maggior parte degli ebrei non è
credente, anche i credenti hanno credenze molto diverse: anche su argomenti più
basilari, come l’immortalità dell’anima, le opinioni sono diverse. Non si può
parlare di un’unica religione.
In realtà quindi non esiste un’identità ebraica se non nel terrore della
persecuzione e dello sterminio.
Lo stesso Stato di Israele è nato proprio per evitare che, in un mondo in cui la
religione non individuava più un popolo, gli ebrei fossero assorbiti dai popoli
presso i quali vivevano.
Israele è un insieme di culture diverse, un po’ come gli USA, perché provengono
da Paesi diversi di cui condividono la cultura. Non è che un ebreo europeo o
arabo si distingua da un europeo o da un arabo.
D’altra parte, nessun popolo condivide un’uguale cultura: anche noi italiani
siamo tanto diversi per opinioni e modi di vivere.
È vero comunque che esistono opinioni, mentalità maggioritarie e minoritarie, ma
in tutti i popoli esiste sempre tutto e il contrario di tutto.
Molti però notano che ad essere razzisti erano
proprio gli ebrei, che si considerano il popolo eletto da Dio, una particolarità
della religione ebraica dell’Antico Testamento di fronte all’universalismo delle
grandi religioni. Certo, è un problema.
Però bisogna storicizzare il problema. Nel passato le guerre religiose erano
comuni. Si pensi, nell’ambito europeo, alla persecuzione contro i cristiani,
alle terribili lotte fra cristiani per le questioni cristologiche, alle eresie
medievali e alla più terribile di tutte: la lotta fra cattolici e protestanti.
Lo stesso nel mondo islamico.
Il considerarsi prediletti da Dio, anche se non assume gli stessi caratteri
ebraici, è comune: si pensi alle distruzioni dei conquistadores e perfino alla
schiavitù in America, che venivano pure giustificate con il fatto che comunque
si apriva la strada alla salvezza eterna per quei pagani che altrimenti
sarebbero finiti nell’eterna dannazione.
L’ebraismo non è un’eccezione.
Antisionismo
Israele accoglie tutti gli ebrei e dà loro la
cittadinanza israeliana. Essa non è subordinata alla religione ma
all’appartenenza al popolo di Israele, cioè essere nati da madre ebrea, con
qualche eccezione. Stranamente però non si è accettati se si pratica un’altra
religione (cristiana, musulmana), in quanto si ritiene che in questo modo si sia
rifiutata la propria tradizione, cosa che invece non avverrebbe se si è atei.
Mi pare una vistosa incongruenza.
L’antisionismo consiste nella contrarietà allo
Stato di Israele.
Tale avversione deve essere inquadrata nel contesto culturale europeo. Nei primi
anni tutti gli Stati, URSS in primis, riconobbero e sostennero Israele.
In un secondo momento invece Israele fu vista come un aspetto del colonialismo,
una specie di avanguardia dell’Occidente capitalista e colonialista, e questo
portò la sinistra ad avversarlo fortemente. Rinforzava questa idea il fatto che
l’URSS era alleata degli arabi e l’America sosteneva fortemente Israele.
In seguito l’idea di Israele come avanguardia del capitalismo si è andata a
perdere insieme all’ideologia comunista e di estrema sinistra, e rimane solo in
qualche ambiente marginale, ma è rimasta comunque nella sinistra anche
democratica una avversione generica a Israele.
Quello che però caratterizza il mondo islamico radicale di oggi è ancora l’idea
di Israele come avanguardia dell’Occidente, dei miscredenti contro i credenti, e
quindi non si tratta di recuperare solo una piccola striscia di territorio della
Palestina, ma di una lotta metafisica fra credenti e miscredenti, fra il bene e
il male: ed è questo che rende la questione della Palestina di difficilissima
soluzione.
Ora si ritiene pure che tutti gli ebrei sostengano Israele.
Ma in ogni comunità ampia c’è sempre tutto e il contrario di tutto. Ad esempio,
fra gli ebrei credenti, anzi ultraortodossi, ci sono pure quelli contrari a
Israele: i Naturei Karta (“guardiani della città”) ritengono blasfemo Israele,
si schierano con i palestinesi e, a un certo momento, hanno fatto parte pure del
consiglio di Arafat. Ma questo non significa certo che gli ebrei siano contrari
a Israele.
Per quanto riguarda l’attuale politica di Israele nella guerra di Gaza e
soprattutto nell’occupazione di fatto della Transgiordania, l’opposizione di una
parte, forse maggioritaria, degli israeliani appare contraria.
Non bisogna nemmeno confondere (come fanno spesso i palestinesi) la contrarietà
alla guerra di Gaza con quella contro Israele: sono cose distinte.
È vero però che in Israele sta crescendo una componente, per il momento
minoritaria, ultraortodossa, noi diciamo “destra messianica”, divisa in tre
indirizzi: sefardita, aschenazita e mizrahì. Qualcuno pensa che Israele stia
diventando un Paese mediorientale, in pratica non molto diverso da Hamas.
Non so, nel futuro si vedrà.