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Democrazia e benessere

Pubblicato da  : res publica : quaderni europei giugno 2025

Giovanni De Sio Cesari

www.giovannidesio.it

 

 

 

 


Io mi sento estremamente fortunato a essere nato nell’Occidente della libertà e della democrazia, senza alcun dubbio sostengo l’importanza dei diritti, delle libertà e ritengo che la democrazia, malgrado i suoi molti difetti, sia comunque il migliore dei regimi politici, non dico possibili ma che fino ad ora si sono realizzati.
Tutto vero, però mi rendo pure conto che questi principi mi sono stati trasmessi dalla cultura nella quale io sono nato, educato, vissuto tutta la mia vita.
Vedo però che non tutta l’umanità condivide queste mie convinzioni: infatti, la maggioranza degli esseri umani non solo non vive in una democrazia, ma spesso nemmeno la desidera.
La democrazia non funziona per tutti i popoli e tutto dipende da un insieme complesso di fattori.
Direi che la democrazia pare funzionare quando c’è un buon livello di cultura, civiltà e, soprattutto, benessere.
Nemmeno si può affermare che la democrazia sia il bene assoluto e tutto il resto sia il male: dipende da molti fattori.
Soprattutto constato che la democrazia è possibile quando essa viene accettata dalla grande maggioranza della popolazione, e nella maggior parte del mondo non esiste questa convinzione, e quindi non è possibile la democrazia, né la si può imporre.
Si è tentato in questo secolo di imporre (esportare) la democrazia, come in Afghanistan e Iraq, ma questi esperimenti sono tristemente falliti perché non è stata accettata dalla maggioranza di quei popoli.
La domanda che allora mi pongo è: perché mai queste convinzioni che a noi occidentali paiono così ovvie non si diffondono in tutto il mondo, non diventano universali?
Certo, è una questione di cultura, di mentalità, di civiltà, direbbero alcuni.
Tutto vero, però a mio parere il motivo essenziale è un altro: i sistemi politici vengono giudicati in base al benessere, o al malessere, che producono.
Bisogna pure riconoscere che ognuno di noi è interessato a trovare un buon lavoro, un buon coniuge, una strada per i figli, molto più che alla libertà di pensiero e alle libere elezioni.
Ciò che conta veramente è il benessere inteso in senso ampio, non solo come disponibilità economica ma anche come sicurezza, provvidenze (pensioni, assistenza sanitaria e sussidi ecc.).
Dobbiamo riconoscere quindi che il benessere conta più della democrazia; che la democrazia ha anche molti difetti; che, in fondo, la gente che apprezza veramente la libertà è solo una minoranza. La partecipazione al voto, infatti, sembra diminuire sempre di più: una diminuzione di interesse alla politica e al votare.
La gente giudica un sistema politico dal benessere che produce.
La democrazia ha successo nella misura in cui essa porta — o si ritiene che porti — al benessere.
In Cina, il benessere è stato portato da una dittatura. Visitando un po’ la Cina ho visto progressi incredibili: in qualche decennio è passata da una sconfinata periferia di casupole a una foresta di grattacieli. Mi sembra impossibile negare il progresso del popolo cinese in questi decenni.
Eppure, in Cina non vi è democrazia, e l’idea che il progresso avrebbe portato automaticamente alla democrazia si è rivelata del tutto errata.
Non saprei poi dire se la democrazia sia la causa o l’effetto del nostro benessere. Le nazioni occidentali sono più prospere perché democratiche, o sono democratiche perché più prospere

Se guardiamo al passato del secolo scorso dobbiamo pur renderci conto che la democrazia ha trionfato sui fascismi e sui comunismi in Occidente perché ha portato al benessere.
In Italia la democrazia si è affermata perché ha portato al miracolo economico.
Il fascismo è crollato non perché la gente desiderasse la libertà, ma perché ha condotto ai disastri senza precedenti della guerra.
La fine del comunismo è stata decretata dal fatto che non è riuscito a raggiungere i livelli di benessere delle società occidentali.
E così possiamo continuare nella storia:
la Rivoluzione francese non fu sostenuta dai francesi per le libertà (che, tra l’altro, non ci furono nemmeno, anzi), ma perché abolì il feudalesimo, dando la terra ai contadini che la desideravano da sempre, elevando il loro tenore di vita.
Allo stesso modo, i cafoni meridionali aderirono all’esercito della Santa Fede e rovesciarono la Repubblica Partenopea perché si resero conto che non portava miglioramenti alle loro condizioni, ma favoriva solo i ricchi.
Analogamente, dopo l’unità ci fu l’ostilità delle folle povere di contadini (cafoni) fino al brigantaggio perché il nuovo stato di cose non portò al miglioramento delle loro misere condizioni, ma fu l’affare della borghesia: d’altra parte, come mai poteva un povero contadino analfabeta partecipare alle libertà e alla politica? Fra l’altro, non aveva nemmeno il diritto di votare e tanto meno la possibilità di essere votato. La democrazia e la libertà erano l’affermarsi degli interessi della borghesia, che infatti vi aderì con entusiasmo.