Solo testo english version articolo originale
Ordinamento politico iraniano

Origine
Comunemente si pensa al sistema politico iraniano come espressione di una tradizione sciita teocratica. In realtà non è così, ma si tratta di una creazione personale di Khomeini, direi in contrasto con la tradizione e la concezione sciita della politica.
Alla rivoluzione contro lo Shah parteciparono varie correnti, fra cui quelle ispirate al socialismo e al laicismo occidentale. Khomeini ebbe un consenso quasi unanime perché considerato erede dell'Ayatollah Ali Shariati, deceduto da poco, che aveva posizioni molto vicine alla sinistra occidentale del tempo. Shariati, uomo di vasta cultura non solo islamica ma anche occidentale, studiò a Parigi dove incontrò le correnti di sinistra più vive del dopoguerra, tradusse in lingua iraniana classici del pensiero della sinistra come Sartre e anche il Che Guevara. Fu conquistato dall'ideologia rivoluzionaria e utopistica della sinistra occidentale con i suoi ideali di giustizia sociale, di società non alienante, senza sfruttati e sfruttatori, che vennero quindi interpretati in chiave religiosa sciita.
Questo spiega come nel primo periodo la Rivoluzione Iraniana fu vista sia in Europa che in Iran come una rivoluzione di sinistra, sia pure in chiave islamica, mentre essa poi ha preso la strada ben diversa di Khomeini.
Questi infatti riuscì rapidamente ad emarginare tutte le altre componenti, finendo con il concentrare tutto il potere nel carisma della sua figura ed elaborò quindi una originale costituzione tuttora ancora in vigore: quando entrò in conflitto con il presidente della repubblica Bani Sadr, questi, benché fosse stato eletto praticamente quasi all'unanimità, in pochi giorni dovette fuggire salvando a stento la vita. Attualmente il presidente dell'Iran Pezeshkian, che avrebbe più o meno gli stessi poteri di Trump, in pratica pare del tutto ignorato, quasi sconosciuto alla pubblica opinione mondiale che sente invece parlare sempre e unicamente di Khamenei.
Ordinamento
Dal punto di vista formale degli organi politici, la costituzione iraniana è simile a tante altre moderne: il presidente della repubblica è eletto a suffragio universale diretto, nomina i ministri e il suo potere è controbilanciato da un parlamento eletto anch'esso a suffragio universale con sistema uninominale.
Ma a questo ordinamento viene sovrapposto un elemento che cambia profondamente tutto: il "Velayat-e faqih" (tutela del giurisperito), cioè un'autorità religiosa che controlla la conformità alle leggi islamiche dell'azione degli organi politici.
Il Velayat-e faqih è costituito in realtà da un Rahbar (maestro giureconsulto) che noi chiamiamo Guida Suprema, coadiuvato da dodici esperti.
L'organo corrisponderebbe alle Corti Costituzionali esistenti con vari nomi negli stati moderni, ma di fatto ha assunto una funzione di potere assoluto, emarginando di fatto il presidente.
Esso infatti non giudica solo della conformità religiosa (cioè della costituzionalità) delle leggi, senza entrare nel merito dell'azione politica: ma giudica innanzi tutto chi può partecipare e chi non può partecipare alle elezioni secondo la maggiore o minore affidabilità religiosa, entra soprattutto in tutte le decisioni politiche, stabilendo ciò che è islamico e ciò che non lo è: politica estera, alleanze, programma nucleare, politica interna.
Si tenga presente che nell'Islam non esiste il clero inteso come nel cattolicesimo, come tramite fra Dio e l'uomo e quindi nemmeno un capo religioso come rappresentante di Dio in terra (il papa con le chiavi di S. Pietro).
Quindi il Rahbar non è il capo religioso degli sciiti iraniani: a rigore il suo potere non è una teocrazia.
Il sistema costituzionale in realtà è ambiguo perché non sono bene definiti i limiti del potere delle autorità religiose e di quelle civili, ambedue costituzionalmente previste.
Anche la successione fu stabilita in realtà da Khomeini: su sua designazione era stato scelto il "grande ayatollah" Montazeri, ma quando questi cominciò ad avere posizioni diverse da lui lo fece rimuovere dalla successione e mettere agli arresti domiciliari: subito dopo Khomeini indicò Khamenei che aveva solo il merito di una assoluta fedeltà alla sua linea e che infatti fu eletto qualche mese dopo la sua morte ed è tuttora la Guida Suprema.
La dottrina politica sciita
La fazione sciita nasce nel contrasto alla successione del profeta Maometto: quando Ali, ultimo califfo (successore) della casa di Maometto (Ahl al-Bayt; la gente della casa) fu assassinato e il potere passò allora agli Omayyadi. Uno dei figli di Ali, al-Husayn cercò di rivendicare il potere ma fu ucciso con 72 seguaci a Kerbela nel 680: a ricordo di questo episodio si celebra l'Ashura.
Seguirono altri discendenti pretendenti alla successione, in tutto dodici "imam" a partire da Ali. L'ultimo dei quali fu Muhammad ibn al-Hasan, detto al-Mahdī (l'inviato) che non sarebbe morto nell'874 ma solo occultato per tornare sulla terra a instaurare il regno di Dio alla fine dei tempi.
Lo sciismo (fazione) non si riduce però a una semplice lotta dinastica, ma fu elaborata una interessante dottrina che per molti versi ricorda quella della "Civitas Dei" di Sant'Agostino. Essi sostengono che dopo Maometto non è possibile sulla terra una comunità veramente "giusta" secondo i dettami della legge di Dio (sharia).
La morte di al-Husayn non è semplicemente un episodio di una banale lotta dinastica, ma assume un significato universale e metafisico: è la dimostrazione che il bene non può trionfare su questa terra e al-Husayn che preferisce morire con i suoi seguaci invece di arrendersi al male è il martire (shahid), per eccellenza, la testimonianza della malvagità degli uomini che non permette la società veramente giusta. Da qui la dottrina del "nascondimento": solo alla fine dei tempi al-Husayn tornerà sulla terra per fondare la società veramente giusta.
Abbiamo quindi un pessimismo simile a quello cristiano di Sant'Agostino: nel mondo vi è il male: esso resterà sempre indissolubilmente intrecciato con il bene fino alla fine dei tempi quando il mondo sarà redento dal ritorno di al-Husayn (in Sant'Agostino, dal ritorno del Cristo che separerà il bene dal male). In questa cornice dottrinale l'Ashura non è la semplice rievocazione di un fatto storico avvenuto tanti secoli fa ma è il lutto per il male che è nel mondo, ora come allora, e in ciascuno di noi: la penitenza dolorosa con flagellazioni e ferite è l'espiazione del male, la penitenza. Analogamente nel nostro Venerdì Santo si ricorda non solo la passione di Cristo ma il male che c'è nel mondo che richiama alla penitenza: nelle tradizioni medioevali giunte in qualche luogo fino a noi (Cusano Mutri) vi sono flagellazioni simili a quelle degli sciiti: il battente espia il male che è anche in se stesso, nei propri peccati.
In questo complesso ideologico lo stato è necessario per reprimere il male che è nell'uomo ("remedium carnis", diceva Sant'Agostino) ma non può instaurare una società veramente giusta. Da questo si ricava che il potere civile deve essere distinto da quello religioso; solo con il ritorno dell'imam al-Husayn i due poteri si congiungeranno in una unica persona, diletta da Dio. Gli sciiti quindi, come Sant'Agostino e anche Lutero, inclinano per l'obbedienza allo stato anche se esso è, per sua natura, imperfetto.
Khomeini però sovrappose al potere politico, che assume una veste democratica moderna elettiva, un'autorità religiosa che dovrebbe giudicare se la sua azione sia o meno conforme alla legge suprema che è quella di Dio.
Ma in questo modo in realtà il potere politico viene garantito da un'autorità religiosa e quindi non potrebbe che agire per il bene, cosa che la dottrina sciita propriamente non ammette: inevitabilmente il male che per sua natura è insito nella politica, come in tutta la società, si riverserebbe sull'autorità degli interpreti della dottrina religiosa.
In termini semplici, se vi è un'autorità religiosa che valuta e garantisce l'aderenza degli atti del governo alle leggi religiose allora la società iraniana dovrebbe essere una società in cui regna la giustizia di Dio: ma questo non è possibile per la concezione sciita della società e d'altra parte nessuno può pensare che l'Iran nei fatti sia una società perfetta: ma il male non può essere ascritto alle leggi divine e ai suoi interpreti.
La concezione di Khomeini è in contrasto quindi con quella tradizionale degli sciiti.
Conclusione
In realtà la rivoluzione islamica di Khomeini è sostanzialmente fallita.
La teocrazia si mantiene per 45 anni nel paese ma non si è diffusa nel mondo islamico, anzi si è acuito il contrasto divenuto guerra aperta con tutta la stragrande maggioranza dell'Islam che è sunnita. L'ideale di governi teocratici è perseguito ormai solo da correnti estremiste e fanatiche sunnite che per altro considerano empie e nemici gli sciiti (il califfato). L'Iran da 45 anni mobilita le coscienze religiose, il forte sentimento nazionale contro un'asserita congiura internazionale di tutto il mondo contro la Rivoluzione Khomeinista, con l'America "grande satana" che mobilita i "piccoli satana" del mondo islamico contro la rivoluzione sciita. Ma l'iraniano che con internet segue un poco la stampa di tutto il mondo, non solo quella occidentale ma anche quella indiana, cinese, russa, e anche quella araba come Al Jazeera, non ritrova affatto nel mondo una volontà nemica.
Per gli Ayatollah tutto il mondo congiura contro la rivoluzione Khomeinista, perché tutto il mondo ne ha paura perché essa è il bene contro il male, la luce contro le tenebre, la verità contro la menzogna.
Ma nel mondo la conoscenza dell'Iran sciita è molto modesta. Spesso gli stessi giornalisti mostrano scarsa informazione e soprattutto scarsa comprensione. Il mondo non è in lotta con l'Iran, in massima parte lo ignora proprio.
Per il mondo la rivoluzione islamica dell'Iran non è la pietra di paragone ma solo un incomprensibile fanatismo, un'espressione di arretratezza, un pericolo da eliminare se riesce a dotarsi di armi nucleari.
Non è un caso che i seguaci del cambiamento in Iran siano gli studenti, le città, i ceti borghesi: sono essi quelli che hanno accesso a internet, che possono vedere il resto del mondo mentre i seguaci di Khamenei sono soprattutto nella parte più povera, nelle campagne.
In effetti negli attuali tragici avvenimenti di Palestina l'azione dell'Iran è apparsa del tutto isolata, in contrasto con tutti gli altri stati sunniti che invece inclinano verso un riconoscimento ormai inevitabile di Israele già presente negli Accordi di Abramo: il 7 ottobre è stato il tentativo disperato di Hamas di impedirli, per il momento riuscito, ma al prezzo dell'estrema rovina di Gaza.