Pubblicato   da     www.cronologia.it luglio    2008    HOME

IL COLONIALISMO
IN INDIA E CINA

Giovanni De Sio Cesari
http://www.giovannidesio.it/

INDICE: Premessa - India - Cina - Appendice

PREMESSA

Fino al 1500 quella europea era una delle quattro principali civiltà del mondo, insieme a quelle cinese, indiana ed islamica, senza avere una particolare prevalenza: da allora però essa iniziò un profondo mutamento che l' ha portata, nel corso di alcuni secoli, a superare di gran lunga le altre civiltà sul piano culturale, scientifico ed economico. In Europa è nata la scienza moderna ( la fisica, la chimica, la medicina, la nuova fisica), sono state fatte tutte le invenzioni moderne (dalla locomotiva al computer) , sono state create le scienze umane (storia, sociologia, psicologia, economia), si e' soprattutto formato lo stato moderno (democrazia, libertà, uguaglianza, laicità, legalità).

Tutto ciò ha permesso all’Europa di conquistare o comunque controllare il resto del mondo con molta facilità: vere guerre accanite e totali si sono svolte solo fra le potenze europee ma esse hanno conquistato il resto del mondo e formati immensi imperi coloniali con pochi mezzi: le difficoltà maggiori sono state dovute alle distanze immense e alle difficoltà dei luoghi.

Con ancora maggiore facilita però gli europei hanno abbandonato gli imperi coloniali nel corso di pochi anni, poco dopo la seconda guerra mondiale. Cosa è stato allora il colonialismo?

Nel dibattito culturale europeo si oscilla fra chi vede in esso sostanzialmente l’espandesi del progresso e della civiltà e chi invece semplicemente un momento di rapina e di spoliazione degli altri popoli, considerando gli europei alla stregua di "nuovi mongoli" con tutte le gradazioni e combinazioni possibili fra i due poli di posizione interpretative.

In questo lavoro cercheremo di vedere come il fenomeno del colonialismo viene considerato non in Occidente ma nei due più importanti paesi extraeuropei, India e Cina che probabilmente in un futuro potrebbero esse stesse divenire le civiltà egemoni.

In India non vi è nessun particolare rancore verso la passata dominazione coloniale inglese: ne vengono dibattuti con serenità i vantaggi e gli vantaggi ma come un fatto cha appartiene al passato: il presente e il futuro sono nella integrazione dell’india nel contesto dello sviluppo economico, la maggiore aspirazione è quella di raggiungere livelli economici simili a quelli occidentali, traguardo che una parte non trascurabile, anche se minoritaria degli indiani, ha ormai raggiunto.

In Cina dopo l’abbandono del maoismo, con l’apertura al capitalismo guidata da Deng Xiaoping, è sentita fortemente la spinta a raggiungere gli occidentali: essa viene però vista anche come una sfida ai popoli dell’Occidente, una affermazione nazionalista. Il colonialismo è condannato, radicalmente, senza “se” e senza “ma”.
I Cinesi possono avere opinioni politiche su cose molto diverse : ma su una valutazione sempre concordano: il colonialismo è stato il nemico capitale della Cina, una sorta di male radicale nel quale nulla di positivo può essere trovato
I due atteggiamenti tanto contrastanti derivano da radici storiche che di seguito cerchiamo di illustrare.

INDIA
Premesse culturali

La storia dell’india è in realtà la storia delle invasioni: ogni ondata di invasione si
sovrappone senza distruggerla alla civiltà precedente: il risultato è che l’india è un mosaico infinito di popoli, di razze, di culture diverse che parlano decine di lingue diverse.
Da questo punto di vista l’invasione inglese è solo l’ultima delle tante. Non pare quindi di una particolare gravità
ma un fenomeno ricorrente. quasi naturale.


Vicende storiche
I primi europei arrivarono in india alla fine del 1400: nel 1500 di formò il grande impero Moghul con la cui potenza gli europei non potevano certo misurarsi accontentatosi di qualche lembo di terra per commerciare con vantaggi reciproci.
In seguito la dissennata politica dell’imperatore Aurangzeb caratterizzata dalla intolleranza verso l’induismo e dal fanatismo islamico trascinò l’ India in un abisso di guerre: cominciò cosi la decadenza dei Moghul.
A questo punto gli Inglesi riuscirono a prendere un iniziale controllo, visti come dominatori più tolleranti, più come liberatori che nemici .
Nella prima fase, fino alla metà del ‘800, il dominio inglese era rimesso nella mani della Compagnia delle Indie, una sorta di società privata con fini propriamente commerciali ed economici. Gli inglesi in quel tempo, non tentarono quindi di portare la loro civiltà agli Indiani, anzi in qualche modo si adeguavano ad essa: ad essi interessavano i rapporti economici non i problemi etici, religiosi, civili: non avevano ancora alcuna intenzione di imporre la propria superiore civiltà. In pratica si comportano come i migliori precedenti conquistatori, come Akbar che nella tolleranza verso tutte le religioni e tutte le etnie avevano fondato la grandezza dell’impero.

Nel 1857 però la rivolta dei Sepoys mutò profondamente la situazione; dopo gli orrori perpetrati prima dai Sepoys e poi, per ritorsione, dagli inglesi il potere passò direttamente alla corona britannica: da allora gli inglesi si sono sentiti investiti della missione civilizzatrice ,” il fardello dell’uomo bianco” come si espresse Kipling: non più persone che fanno affari rispettosi o meglio, indifferenti agli usi locali ma un corpo di funzionari governativi competenti e diligenti che volevano modernizzare l’india: furono ad esempio vietati usi come quelli del sati e del matrimonio delle bambine
Man mano si crea pure una ossatura burocratica di personale indiano, si fanno riforme democratiche: il passaggio alla indipendenza fu senza traumi anche perchè tutti i funzionari che avevano servito nel raj britannico furono confermati nei loro incarichi : la indipendenza e la democrazia appariranno un fatto naturale per gli indiani nel ‘47.

D’altra parte la lotta per l’indipendenza sotto la guida di Gandhi non ebbe asprezze e scontri sanguinosi: in effetti Gandhi era popolare in Inghilterra non meno che in India.
Dopo l’indipendenza Gandhi è stato “santificato” ma in realtà i suoi insegnamenti sono stati dimenticati: i suoi richiami a un’India ancestrale e antica sono stati pressocchè ignorati: egli sognava il ritorno al villaggio, alla autosufficienza agricola, rifiutava l’industrializzazione, non parlava di redistribuzione delle terre, dei sindacati, della laicità, non condannò nemmeno radicalmente il sistema delle caste.

L’india attuale è molto lontana da Gandhi, è stata costruita da Nehru molto più moderno e molto più vicino al modello britannico.


Atteggiamento verso il colonialismo

Dalle vicende storiche sommariamente illustrate nasce l’atteggiamento indiano verso il colonialismo.
C’è un gran dibattito culturale sui demeriti e meriti del colonialismo che rileva aspetti
positivi e negativi: non una condanna generalizzata ne tanto meno una giustificazione generalizzata.
Si discute ampiamente sia a livello di cultura storiografica che a livello popolare di quanto l’Inghilterra debba all’India ma anche di quanto l’India debba all’Inghilterra.
Anche il Mahatma Gandhi pur reclamando l’indipendenza e il ritorno alla cultura indiana non disconosceva affatto l’importanza di quella inglese e Nehru in realtà non nascondeva i meriti indubbi della colonizzazione britannica in un giudizio molto equilibrato.

L’attuale premier, Manmhoan Singh, nel 2005 in un incontro a Oxford (vedi appendice) ha così riassunti gli aspetti positivi della dominazione inglese: le diffusione di una cultura scientifica che è il vanto più evidente egli europei, ma anche lo stato di diritto prima del tutto sconosciuto in India e quindi la sua espressione più alta che è la democrazia, e l’India è la più grande democrazia del mondo. Ha rilevato come sono stati gli inglesi stessi a riscoprire scientificamente la cultura dell’india al di là delle vaghe leggende e letture di parte, ha dato anche atto che la lingua inglese è diventata un veicolo importantissimo per la comunicazione non solo a livello internazionale ma anche al suo interno per superare il frazionamento infinito delle lingue e dei dialetti.
Non si nascondono naturalmente gli aspetti negativi.


CINA
Premesse culturali

Mentre la civiltà dell’India è costituita, come abbiamo visto, dal cristallizzarsi delle successive invasioni, quella della Cina è sostanzialmente, al contrario, la lotta contro gli invasori.

Fin dall’inizio della sua storia la civiltà agricola cinese ha dovuto lottare contro i popoli nomadi o seminomadi, comunque meno civili, che tentavano di invaderla. La Cina nasce praticamente con la costruzione della Grande Muraglia che divide nettamente il mondo cinese in due; da qui la civiltà, di là la barbarie: ed infatti il nome che assume il paese è Zhongguó, (il paese di mezzo) cioè il centro della civiltà.

Effettivamente ai confini della Cina vi sono deserti, monti foreste impenetrabili e il mare dai quali potevano arrivare solo ondate di barbari invasori : se essi prevalevano la Cina cadeva nel caos e nella rovina. Qualche volta i barbari riuscirono a conquistare la Cina: i Mongoli nel XIII secolo e i Mangiu nel XVII secolo, ma rapidamente abbracciarono la civiltà cinese e comunque non portarono quasi nulla della propria. Nei millenni quindi in Cina si è formata l’idea fondamentale che nulla di positivo e di desiderabile poteva trovarsi al di fuori della Cina stessa, non UN paese civile dunque ma l’UNICA civiltà .

I cinesi al contrario dell’India conobbero pochissimo il mondo esterno. Nel 1400 una flotta cinese fu anche inviata al comando di Zheng He per affermare una egemonia sui mari ma durò poco: La Cina preferì ritirarsi e fu vietato perfino la costruzioni di navi che potessero sfidare gli Oceani.

In questo mondo cosi chiuso in se stesso arrivarono gli Occidentali nel 1500. I cinesi li assimilarono ai tanti barbari che questa volta venivano dal mare anzicchè dai deserti e dai monti. Apprezzarono anche il grande gesuita Matteo Ricci, che divenne personaggio importante a corte: ma anche Matteo Ricci si presentava come una persona che aveva assimilato la cultura cinese, vestiva e parlava da cinese colto.
La Cina concesse la possibilità di qualche commercio che poteva essere utile e qualche scalo periferico come Macao, ammirarono pure la tecnica e le conoscenze degli europei ma conservarono intatta l’idea della loro superiorità. Per essi fu un trauma terribile, quando nella guerra dell’oppio, un corpo di spedizione inglese travolse, con stupefacente facilità, il loro esercito.

Da allora iniziò una serie ininterrotta di rovesci militari: gli eserciti europei invadevano e percorrevano in lungo e in largo la Cina, bruciarono palazzi imperiali e altre opere d’arte, cosi come facevano i barbari, costringendo ad accettare qualsiasi imposizione: la Cina precipitava nell’anarchia come nei periodi più bui delle invasioni barbariche.

Per i cinesi gli europei erano pur sempre dei barbari, anche se militarmente superiori come era a volte accaduto, dei “nuovi mongoli” insomma: non percepirono che invece gli europei non erano i soliti barbari ma i portatori di una nuova civiltà.
L’acme dello scontro si ebbe negli ultimi anni dell’800.

Mentre in Giappone prevalevano le forze favorevoli a una rapida assimilazione delle modernità europee (governo meiji), la Cina era troppo orgogliosa e sicura della sua millenaria civiltà per fare altrettanto: la situazione andò precipitando fino alla rivolta dei Boxer che fu sostanzialmente una ribellione popolare contro la oppressione degli europei che voleva restaurare la grandezza della Cina. La rivolta fallì, l’impero si dimostrò inadeguato a difendere la Cina dagli stranieri e a mantenere l’ordine interno e cadde nella quasi indifferenza generale.
Solo però a partire dagli inizi del ‘900 i cinesi si resero conto della importanza della civiltà europea e penetrarono idee nuove di liberali e socialisti ma intanto, poichè la ideologia del colonialismo tramontavano anche in Europa, esse finirono con il rafforzare ancora di più la condanna di esso. In particolare la Cina conobbe la modernità soprattutto attraverso il comunismo che assimilava nella stessa condanna inappellabile sia il capitalismo che il colonialismo il secondo visto come la peggior espressione del primo del primo.

Vicende storiche
Il colonialismo in Cina fu particolarmente negativo, non presentò nessuno degli aspetti positivi che ebbe in India e in altri paesi.
L’inizio stesso della penetrazione in Cina avvenne in occasione dei uno degli episodi più vergognosi della storia: la guerra dell’oppio.
Gli Inglesi, per controbilanciare la importazione di the, iniziarono a vendere oppio in
Cina. Ovviamente le autorità cinesi si opposero: allora gli inglesi aggredirono la Cina e vinsero facilmente la guerra costringendola a permettere la libera importazione dell’oppio. L’oppio si diffuse come una peste in tutto l’impero con un effetto devastante su tutto il tessuto civile e familiare della nazione: pochi fatti nella storia sono stati altrettanto ingiusti e infamanti.

Vista la facilità con la quale era possibile battere militarmente la Cina, fu un continuo di interventi europei per questo o quella ragione o meglio pretesto. Alla fine di ogni intervento si addossavano alla Cina le spese dell’intervento stesso, spese sproporzionate che la Cina, già in piena crisi economica, non era assolutamente in grado di pagare.
Gli europei allora pretesero il controllo delle dogane, dei tributi, delle miniere e di tutto quello che poteva fruttare qualcosa: una vera e propria rapina delle, per altro magre, ricchezze cinesi.

Con il crollo dell’impero e la formazione del Kuomitang i cinesi si ribellarono a questa tremende sopraffazione e gli europei sostanzialmente si ritirarono dalla Cina. Tuttavia si fece avanti un nuovo colonialismo, ancora peggiore, quello Nipponico. Non si trattava di europei ma comunque di una nazione che ne aveva assunto il ruolo.
I Giapponesi erano convinti che i cinesi fossero una razza inferiore, da usare come schiavi: gli orrori, le stragi, le sopraffazioni furono qualcosa di terribile, una delle pagini peggiori del ‘900.

Quando, con la fine della Seconda Guerra Mondiale i Giapponesi si ritirarono per qualche anno i nazionalisti di Jiang Jiesh (Chiang Kai-shek) furono appoggiati dagli americani ma persero di fronte ai comunisti: ancora una volta gli Occidentali si trovarono dalla parte sbagliata.

La Russia era la centrale del comunismo internazionale, la più portante alleata, in teoria, ma diede sempre scarso appoggio ai comunisti cinesi dei quali ha sempre diffidato preferendo i rapporti con il governo di nazionalista di Jiang Jiesh.
Dopo alcuni anni i rapporti con i Russi si guastarono irrimediabilmente e ancor una volta gli europei erano pur sempre dei nemici.

Tuttavia attraverso l’ideologia del comunismo i cinesi assorbirono profondamente la civiltà occidentale e con Deng Xiaoping si aprirono all’Occidente liberista.

Attualmente la Cina appare il paese più occidentalizzato dell’Asia: a parte le fattezze degli abitanti e le scritte in ideogrammi, se si cammina per Shanghai sembra di essere a New York.
L’india al paragone mantiene la sua individualità di civiltà molto più che la Cina.
Sarebbe però un errore pensare che un paese fortemente occidentalizzato sia un amico dell’Occidente. Il Giappone accettò modelli occidentali ma divenne il grande nemico dell’America e più in generale i movimenti di liberazione al colonialismo si formarono secondo la cultura occidentale ma combatterono l’Occidente .

Atteggiamento verso il colonialismo
In Cina il giudizio sul colonialismo è estremamente negativo come non potrebbe non essere date le vicende storiche che abbiamo sommariamente delineato non tanto a livello ufficiale e colto quanto a livello popolare, di coscienza diffusa.
Il cinese medio, a differenza dell’‘indiano medio, vede nel colonialismo il male radicale, il nemico di sempre.
A Cixi, l’ultima imperatrice, non imputa la politica fallimentare che portò allo sfascio dell’impero e la Cina all’ultima rovina: la rimprovera soprattutto l’aver lasciato agli inglesi Hong kong: il suo ritorno alla madrepatria è stato l’avvenimento che più ha riempito di gioia e di orgoglio l’animo cinese. Lo stesso successo economico è vissuto come una rivincita contro le umiliazione inflitta alla Cina dal colonialismo: vogliono costruire il grattacielo più alto, lo stadio più moderno per una sorta di rivincita del ”paese di mezzo” cioè della “vera” civiltà rispetto agli stranieri.

Anche gli avvenimenti del Tibet sono stati vissuti in un parossimo di nazionalismo, come un ultimo tentativo del colonialismo di sempre.
Analogamente la proclamazione da parte della Chiesa Cattolica dei martiri dei cinesi uccisi dai Boxer durante la rivolta è stata vista come un sorte di giustificazione del colonialismo: il risultato è stato un blocco del processo di normalizzazione dei rapporti fra Cina e Chiesa che sembrava molto ben avviato: il cinese di oggi è quanto di più lontano si possa immaginare da un boxer di 100 anni fa ma gli si riconosce il fatto di aver lottato contro il colonialismo: questo è un titolo sufficiente per ammirarlo.

Non è possibile prevedere se il sentimento anticoloniale, per altro pienamente giustificato, combinato con il nazionalismo di sempre legato alla convinzione millenaria che la Cina sia LA civiltà quale strada possa intraprendere: per il bene dell’umanità ci auguriamo che essa possa risolversi nella competizione pacifica e nella tolleranza.

APPENDICE

Address by Prime Minister Dr Manmohan Singh at Oxford University

From:THE HINDU indian newspaper - 2005 /06/08

Mr Chancellor, Excellencies, Ladies and Gentlemen,

.

The economics we learnt at Oxford in the 1950s was also marked by optimism about the economic prospects for the post-War and post-colonial world. But in the 1960s and 1970s, much of the focus of development economics shifted to concerns about the limits to growth. There was considerable doubt about the benefits of international trade for developing countries. I must confess that when I returned home to India, I was struck by the deep distrust of the world displayed by many of my countrymen. We were overwhelmed by the legacy of our immediate past. Not just by the perceived negative consequences of British imperial rule, but also by the sense that we were left out in the cold by the Cold War.

There is no doubt that our grievances against the British Empire had a sound basis for. As the painstaking statistical work of the Cambridge historian Angus Maddison has shown, India's share of world income collapsed from 22.6% in 1700, almost equal to Europe's share of 23.3% at that time, to as low as 3.8% in 1952. Indeed, at the beginning of the 20th Century, "the brightest jewel in the British Crown" was the poorest country in the world in terms of per capita income. However, what is significant about the Indo-British relationship is the fact that despite the economic impact of colonial rule, the relationship between individual Indians and Britons, even at the time of our Independence, was relaxed and, I may even say, benign.

This was best exemplified by the exchange that Mahatma Gandhi had here at Oxford in 1931 when he met members of the Raleigh Club and the Indian Majlis. The Mahatma was in England then for the Round Table Conference and during its recess, he spent two weekends at the home of A.D. Lindsay, the Master of Balliol. At this meeting, the Mahatma was asked: "How far would you cut India off from the Empire?" His reply was precise - "From the Empire, entirely; from the British nation not at all, if I want India to gain and not to grieve." He added, "The British Empire is an Empire only because of India. The Emperorship must go and I should love to be an equal partner with Britain, sharing her joys and sorrows. But it must be a partnership on equal terms." This remarkable statement by the Mahatma has defined the basis of our relationship with Britain.

Jawaharlal Nehru echoed this sentiment when he urged the Indian Constituent Assembly in 1949 to vote in favour of India's membership of the Commonwealth. Nehru set the tone for independent India's relations with its former master when he intervened in the Constituent Assembly's debate on India joining the Commonwealth and said:

"I wanted the world to see that India did not lack faith in herself, and that India was prepared to co-operate even with those with whom she had been fighting in the past provided the basis of the co-operation today was honourable, that it was a free basis, a basis which would lead to the good not only of ourselves, but of the world also. That is to say, we would not deny that co-operation simply because in the past we had fought and thus carry on the trail of our past karma along with us. We have to wash out the past with all its evil."

India and Britain set an example to the rest of the world in the way they sought to relate to each other, thanks to the wisdom and foresight of Mahatma Gandhi and Jawaharlal Nehru. When I became the Finance Minister of India in 1991, our Government launched the Indo-British Partnership Initiative. Our relationship had by then evolved to a stage where we had come to regard each other as partners. Today, there is no doubt in my mind that Britain and India are indeed partners and have much in common in their approach to a wide range of global issues.

What impelled the Mahatma to take such a positive view of Britain and the British people even as he challenged the Empire and colonial rule? It was, undoubtedly, his recognition of the elements of fair play that characterized so much of the ways of the British in India. Consider the fact that an important slogan of India's struggle for freedom was that "Self Government is more precious than Good Government". That, of course, is the essence of democracy. But the slogan suggests that even at the height of our campaign for freedom from colonial rule, we did not entirely reject the British claim to good governance. We merely asserted our natural right to self-governance.

Today, with the balance and perspective offered by the passage of time and the benefit of hindsight, it is possible for an Indian Prime Minister to assert that India's experience with Britain had its beneficial consequences too. Our notions of the rule of law, of a Constitutional government, of a free press, of a professional civil service, of modern universities and research laboratories have all been fashioned in the crucible where an age old civilization met the dominant Empire of the day. These are all elements which we still value and cherish. Our judiciary, our legal system, our bureaucracy and our police are all great institutions, derived from British-Indian administration and they have served the country well.

Of all the legacies of the Raj, none is more important than the English language and the modern school system. That is, if you leave out cricket! Of course, people here may not recognise the language we speak, but let me assure you that it is English! In indigenising English, as so many people have done in so many nations across the world, we have made the language our own. Our choice of prepositions may not always be the Queen's English; we might occasionally split the infinitive; and we may drop an article here and add an extra one there. I am sure everyone will agree, however, that English has been enriched by Indian creativity as well and we have given you R.K. Narayan and Salman Rushdie. Today, English in India is seen as just another Indian language.

The idea of India as enshrined in our Constitution, with its emphasis on the principles of secularism, democracy, the rule of law and, above all, the equality of all human beings irrespective of caste, community, language or ethnicity, has deep roots in India's ancient civilization. However, it is undeniable that the founding fathers of our republic were also greatly influenced by the ideas associated with the age of enlightenment in Europe. Our Constitution remains a testimony to the enduring interplay between what is essentially Indian and what is very British in our intellectual heritage.

The idea of India as an inclusive and plural society, draws on both these traditions. The success of our experiment of building a democracy within the framework of a multi-cultural, multi-ethnic, multi-lingual and multi-religious society will encourage all societies to walk the path we have trodden. In this journey, both Britain and India have learnt from each other and have much to teach the world. This is perhaps the most enduring aspect of the Indo-British encounter.

It used to be said that the sun never sets on the British Empire. I am afraid we were partly responsible for sending that adage out of fashion! But, if there is one phenomenon on which the sun cannot set, it is the world of the English speaking people, in which the people of Indian origin are the single largest component.

No Indian has paid a more poetic and generous tribute to Britain for this inheritance than Gurudev Rabindranath Tagore. In the opening lines of his Gitanjali, Gurudev says:

"The West has today opened its door.
There are treasures for us to take.
We will take and we will also give,
From the open shores of India's immense humanity."

To see the India - British relationship as one of 'give and take', at the time when he first did so, was an act of courage and statesmanship. It was, however, also an act of great foresight. As we look back and also look ahead, it is clear that the Indo-British relationship is one of 'give and take'. The challenge before us today is to see how we can take this mutually beneficial relationship forward in an increasingly inter-dependent world.

I wish to end by returning to my alma mater. Oxford, since the 19th century, has been a centre for Sanskrit learning and the study of Indian culture. The Boden professorship in Sanskrit, and the Spalding professorship in Eastern Religions and Ethics, stand testimony to the university's commitment to India and Indian culture. I recall with pride the fact that the Spalding professorship was held by two very distinguished Indians: Dr S. Radhakrishnan, who later became the President of India, and by Dr. Bimal Krishna Matilal. In the context of the study and preservation of Indian culture, I also wish to recall the contribution of another Oxonian, Lord Curzon, about whose project to preserve and restore Indian monuments, Jawaharlal Nehru said, "After every other Viceroy has been forgotten, Curzon will be remembered because he restored all that was beautiful in India."

 

Giovanni De Sio Cesari
http://www.giovannidesio.it/

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"Tibet indipendente? Figlio del colonialismo" dice Pechino

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