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Culture, sciocchi e imbroglioni

Pubblicato da  : res publica : quaderni europei giugno 2025

Giovanni De Sio Cesari

www.giovannidesio.it

 

 

 

 

Spesso, molto spesso, si sente il discorso che la parte politica avversa a quella in cui noi crediamo si divida in sciocchi e imbroglioni; le loro élite sarebbero coscientemente ingannatrici e le masse che li seguono sarebbero formate da sciocchi. Ma gli storici non procedono con questa semplicistica e ingenua schematizzazione.
Chiariamo innanzitutto cosa intendiamo per masse ed élite.
Le masse sono composte da persone di diversissima cultura, capacità critica e preparazione, dai professori agli analfabeti; le élite, cioè il ceto dirigente, sono composte da persone di diversissimo orientamento, non sono un tutto compatto con la stessa ideologia politica.
Poi vi sono gli esperti in politica, economia, ecc., che in genere sono discordi nelle loro opinioni.
In realtà, le élite, le masse, gli esperti credono in linea generale veramente in quello che dicono, anche se in tutte le tre categorie vi è sempre un’ampia componente di opportunismo, così come la corruzione è dovunque, anche se il suo grado può essere più o meno ampio secondo le circostanze.
Ci sono cause culturali, economiche e di ogni genere per cui certe ideologie si affermano e altre crollano: non si tratta di sciocchi e di imbroglioni e non esiste un complotto dei ceti dirigenti.
In un certo momento della nostra storia, interi popoli di grande civiltà e cultura (i tedeschi, ad esempio, ma anche tanti altri) credettero nei fascismi, altri invece nel comunismo, e hanno sostenuto Stalin, Mao, Pol Pot, ecc.
Certamente le democrazie hanno il vantaggio che tutti possono esprimersi liberamente e quindi le sciocchezze sono più facilmente scoperte, mentre le dittature di qualunque orientamento controllano tutti i mezzi di informazione e quindi riescono a diffondere le proprie idee politiche sia fra i ceti dirigenti che nel popolo meno colto.
Ma è anche vero che i politici hanno successo nel momento in cui riescono a interpretare quello che le masse vogliono.
Se nel secolo scorso le masse applaudirono Mussolini e Stalin è perché questi interpretavano quello che le masse credevano. Infatti si immagini se oggi uno dicesse le stesse cose che uno Stalin e un Mussolini dicevano: sarebbe sommerso dal ridicolo.
In fondo è quello che avviene per la pubblicità: essa è veramente efficace se corrisponde a quello che la gente vuole sentire.
Questo non vuol dire che tutto è falso e tutto è vero, come sostenevano i sofisti, ma dipende dal punto di vista con cui si valuta.
Ogni civiltà, ogni epoca ha i suoi punti di riferimento, le sue interpretazioni: quello che diciamo la sua cultura.
Il concetto di cultura però viene usato in due significati diversi. Nel linguaggio comune indica l’istruzione: ad esempio il prof ha (dovrebbe avere) più cultura del bidello.
In campo sociologico-politico indica invece il complesso di credenze di un gruppo umano (mentalità, si dice comunemente). Nel primo caso è frutto dello studio (quindi elitaria), nel secondo appartiene a tutti (mentalità della generalità, delle masse, possiamo dire).
Tutti hanno una cultura in senso sociologico, sia gli Ottentotti che gli svedesi, e il rapporto di superiorità dipende dai parametri che scegliamo: magari si può pensare che il selvaggio Ottentotto (il buon selvaggio di Rousseau) sia migliore del civilizzato svedese.
Per sottocultura (meglio: subcultura) si indicano caratteristiche particolari di un gruppo che partecipa a una cultura più vasta: ad esempio nella cultura italiana abbiamo la subcultura napoletana (con pizze, sfogliatelle, canzoni, buon cuore e traffico caotico).
Più importanti per il nostro discorso, esistono culture politiche (religiose, etiche) diverse in una stessa cultura generale, in particolare nelle democrazie moderne: abbiamo culture di destra e di sinistra, atee e religiose, progressiste e tradizionaliste, e ognuna di esse poi si articola in diversi rami per cui abbiamo poi una continuità senza soluzione.
Storicamente possiamo fare tanti esempi di differenze di cultura di cui spesso abbiamo scarsa coscienza.
Prendiamo ad esempio l’inizio dell’Iliade, che un tempo si offriva a tutti i ragazzini di prima media senza badare tanto al suo significato. Achille e Agamennone vengono a lite, mettendo in pericolo l’intero esercito, per il possesso di una fanciulla, cioè del diritto di violentare una ragazza a cui hanno sterminato la famiglia, e sono considerati grandi eroi: ma ci rendiamo conto che per noi sarebbero criminali della peggiore specie? Nulla ci parrebbe OGGI più spregevole, più vile: eppure nell’Iliade la stessa Briseide poi non pare poi  tanto contrariata se poi piange sulla morte di Patroclo, l’amico di Achille.
Così se passiamo alla Grecia classica vediamo Aristotele, per millenni considerato il maestro di color che sanno, teorizzare la schiavitù come un fatto assolutamente naturale, e gli schiavi assimilati agli animali o a strumenti animati, e addirittura anzi per natura i barbari, cioè coloro che balbettano perché non parlano greco, sarebbero per natura dovuti essere schiavi dei Greci.
Ma tutta la civiltà greca e romana si basava sulla schiavitù, cosa che pareva del tutto naturale.
Ovviamente gli schiavi anelavano a essere liberi, ma non è che la considerassero una cosa da abolire; se divenivano liberti, anche essi avevano schiavi.
Nel famoso film si vede Spartaco come un nemico della schiavitù, ma è un anacronismo.
Attualmente, al contrario, nessuno oserebbe auspicare la schiavitù perché la cultura è cambiata. Ora noi possiamo giudicare di essere migliori o peggiori dei Romani in base al criterio che adottiamo sulla schiavitù, così come, dicevo, per le culture degli Ottentotti e degli svedesi.
Non possiamo valutare il passato con i criteri del presente così come non possiamo valutare il presente con i criteri del passato.
La schiavitù è solo uno degli infiniti esempi che si possono fare sulla diversità delle culture.
Potremmo citare lo ius necis (potere di condannare a morte) che il pater familias (capofamiglia) aveva sui membri della famiglia a Roma.
Ma senza andare a Greci e Romani di migliaia di anni fa, possiamo anche vedere a pochi decenni fa. Ad esempio, qualche giorno fa rivedevo Napoli Milionaria e notavo il dramma della figlia di Gennaro per la perdita della verginità, come la moglie rimpiangesse di non essersi tutta dedicata al suo ruolo di donna nel fare le faccende di casa e soprattutto nel suo ruolo di mamma: chi oggi penserebbe cose del genere? Eduardo era pure un aderente della sinistra comunista: pensate cosa direbbe oggi sugli stessi argomenti una Schlein.
Nel secolo scorso si scontrarono comunismi, fascismi, democrazie: i primi due sono praticamente scomparsi dalla storia, salvi piccoli e insignificanti gruppetti.
All’epoca dell’ascesa di Mussolini in Italia, la cultura popolare di massa era intrisa profondamente di nazionalismo, e la cultura in senso elitario era quella neoidealista, una parte della quale, facente capo a Croce, era (moderatamente) avversa al fascismo, e l’altra, facente capo a Gentile, era invece favorevole (Gentile aderì anche al RSI e fu ucciso dai partigiani). Si immagini che oggi un politico dicesse che dobbiamo seguire le orme dell’Impero Romano, che dobbiamo fare grande la patria con la guerra di conquista, abbattere le plutocrazie occidentali, spezzare le reni alla Grecia e cose del genere: certo le masse lo coprirebbero di ridicolo e non lo seguirebbero certo.
Non è nemmeno detto che chi è ignorante abbia sempre torto e chi è colto abbia ragione: non sempre la cultura elitaria (delle persone colte) ha ragione rispetto alla cultura delle masse (in senso sociologico).
Ad esempio vediamo le vicende della Repubblica partenopea del 1799 e anche del brigantaggio postunitario. Gli uomini di gran cultura, come gli illuministi napoletani e i liberali unitari, credevano di liberare il popolo, ma questi capirono benissimo che in effetti ad avvantaggiarsi del nuovo stato di cose erano i borghesi: l’unica cosa che interessava loro era il possesso della terra, e contrariamente a quanto avvenuto in Francia, questo non avveniva nel Regno di Napoli. I poveri e gli analfabeti non potevano certo aspirare al governo della cosa pubblica, che finiva quindi con l’essere del tutto appannaggio della classe ricca. In fondo il brigantaggio postunitario del Sud fu innanzitutto una guerra civile fra i poveri cafoni e i proprietari terrieri: libertà e democrazia c’entravano poco.
Analogamente per gli intellettuali comunisti, che ebbero una larga egemonia nel dopoguerra e ritenevano di avere la verità scientifica del comunismo, come si diceva allora, e consideravano quelli che non votavano comunista come dei proletari ingenui ingannati dai borghesi. Con il senno di poi possiamo dire che il popolo aveva ragione a non credere nel comunismo e gli intellettuali invece avevano torto, il che non significa che non fossero persone di grande intelligenza.
Solo con il senno di poi infatti noi sappiamo che il fascismo e il comunismo sono ideologie che sono clamorosamente fallite e nessuno oggi crede ancora in esse (tranne irrilevanti gruppuscoli, ci sono
sempre).

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Consiglio d’Europa, organismo in verità poco conosciuto, che ha per fine la promozione dei diritti umani e la lotta al razzismo, recentemente ha raccomandato all’Italia uno studio sulla profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine: gli agenti di polizia fermerebbero le persone basandosi sul colore della loro pelle, o sulla loro presunta identità nazionale o religiosa, “violando così i valori europei”: in pratica un'accusa di pregiudizio razziale verso gli immigrati. Sia il governo che i vertici della polizia e altre istituzioni nazionali hanno reagito vivacemente respingendo l'accusa come falsa, priva di ogni fondamento.
Noi non abbiamo idea se una tale accusa abbia qualche fondamento o meno, ma ci pare invece che un simile atteggiamento delle forze dell’ordine sarebbe logico e appropriato.
Se vi è un femminicidio, ovviamente si vanno prima di tutto a indagare quelle persone che in qualche modo abbiano avuto dei rapporti amorosi con la vittima: chi altro potrebbe essere stato?
Se vi sono tangenti si pensa che a incassarle siano stati uomini di potere, politici, amministratori: chi mai darebbe una tangente a un poveraccio?
Se c’è un borseggio, ovviamente si pensa invece a qualche poveraccio che non riesce a guadagnare sufficientemente: chi mai penserebbe a un deputato o anche semplicemente a un impiegato di banca?
Ovviamente le indagini si avviano verso gli ambienti e le persone che si ritengono più facilmente abbiano potuto compiere quel certo genere di reato. Si sa che gli immigrati costituiscono la parte più povera e disagiata della popolazione: la probabilità che commettano micro-crimini è quindi più alta. Possiamo dire allora che la polizia si muove su pregiudizi: certamente, ma quello che va rilevato è che tutta la conoscenza umana parte da pregiudizi.
La cultura illuministica condannò sempre e aprioristicamente il pregiudizio, ma in realtà, come rivela molto giustamente Gadamer (corrente dell’ermeneutica moderna), nel cercare la verità noi non possiamo non partire da una pre-comprensione (che possiamo definire pregiudizio) e quindi, confrontandola con la realtà, possiamo confermarla o smentirla.
Non è certamente possibile che io affronti una qualunque questione senza partire già da un contesto culturale con tutti i suoi pregiudizi. Ad esempio, io ho il pregiudizio che le cure mediche combattano le malattie e che invece gli scongiuri non servano a niente. Come potrei non partire da questo pregiudizio? Come potrei verificare ogni volta che le medicine sono efficaci e le arti magiche no? D’altra parte, nel passato si aveva il pregiudizio opposto, per cui si credeva più nelle arti magiche che nelle medicine.
Così, altro esempio, nel passato vi era il pregiudizio che le donne non sapessero amministrare il proprio patrimonio, per cui secondo leggi ed usi la dote apparteneva alla moglie ma era amministrata dal marito.
Attualmente abbiamo il pregiudizio opposto, per cui pensiamo che uomini e donne abbiano le stesse capacità di amministrare. Bisogna anche considerare che se un pregiudizio è stato ritenuto valido per molto tempo (millenni nel caso prima ricordato) vuol dire che aveva pure un certo fondamento.
Bisogna considerare che la realtà cambia: un tempo alle donne veniva riservata solo la cura della famiglia e della casa, non veniva insegnato loro l’amministrazione finanziaria e in generale tutto quello che non riguardasse il loro compito specifico. Allora appariva pure vero che non sapessero amministrare.
Quello che è negativo del pregiudizio è la sua rigidità, che si mantenga cioè anche di fronte all’evidenza della smentita, alla realtà oggettiva.
Se siamo passati dagli scongiuri alle medicine è perché lo sviluppo delle conoscenze mediche ci ha portato a constatare l’efficacia delle une e l’inutilità delle altre.
Se ora pensiamo che le donne possano anche amministrare è perché non lasciamo ad esse solo la cura della famiglia ma forniamo ad esse una preparazione uguale a quella degli uomini.
Quello che sarebbe negativo è che noi considerassimo le nostre pre-comprensioni come giudizi assoluti, così come fa la cosiddetta cultura woke.
La nostra mente deve essere aperta anche a considerare magari che un certo tipo di magia sia più efficace delle medicine o che le donne siano meno capaci di amministrare.
Soprattutto bisogna considerare che per quanto riguarda gli esseri umani le pre-comprensioni hanno solo un valore statistico e non assoluto. Se dico che gli uomini sono più alti delle donne mi riferisco solo alla media delle altezze – ma è abbastanza comune che una donna sia più alta di un uomo. Così, gli uomini potrebbero essere in media più abili ad amministrare delle donne in media, ma questo non significherebbe che tutti gli uomini sono più bravi di tutte le donne.
Torniamo al pregiudizio razziale da cui siamo partiti. Il razzismo è una teoria secondo la quale l’atteggiamento mentale di un individuo dipenderebbe dall’eredità genetica: si è intelligenti o meno, buoni o malvagi, ladri o onesti perché lo si eredita dai genitori. Questo pregiudizio ormai possiamo considerarlo quasi scomparso, mentre prevale e di molto il pregiudizio opposto: che tutto dipenda dall’educazione, dalla cultura in cui nasciamo o siamo educati. Noi pensiamo che un neonato congolese adottato in Italia diventi culturalmente un italiano, e viceversa.
Tutto questo non significa che non esistano le culture. È evidente che nel mondo islamico stenta e di molto ad affermarsi, e forse mai si affermerà, la nostra idea dell’uguaglianza dei sessi. Ma non pensiamo che sia un fatto genetico: in fondo, hanno una concezione dei rapporti tra i sessi che noi sostanzialmente condividevamo qualche secolo addietro.
Questo non significa però che una donna musulmana non possa essere emancipata quanto e più magari di una donna americana: si tratta di fatti statistici.
Pensare che i microcrimini come i borseggi vengano operati dalla parte più povera della popolazione è un pregiudizio generalmente accettato da tutti; sarebbe razzismo pensare che gli extracomunitari siano ladri per un fatto genetico e non per un problema socio-economico. Così come sarebbe negativo mantenere questo pregiudizio anche quando esso si manifesta infondato: non si può considerare un bisognoso, italiano o immigrato, come un ladro senza concrete prove.