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SUPERIORITÀ DELLA PROPRIA CIVILTA’

Pubblicato da : res publica : quaderni europei settembre 2025
SUPERIORITÀ DELLA PROPRIA CIVILTA’
Sembra quasi un fatto universale che ogni civiltà, ogni cultura, si ritenga superiore alle altre. Anche il grande Aristotele diceva che i barbari (cioè i non greci) dovevano per natura essere schiavi dei greci (addirittura!).
Il fenomeno si spiega con il fatto che noi giudichiamo secondo i parametri della civiltà a cui apparteniamo e quindi inevitabilmente ci sentiamo superiori a quelli che hanno parametri diversi, che a loro volta si sentiranno superiori per lo stesso motivo.
Ad esempio, il velo delle donne a noi pare una barbarie, una follia, ma per altre civiltà siamo noi i barbari e i folli.
È un'illusione, direi, quasi inevitabile.
Come tutte le civiltà, anche noi europei moderni tendiamo a pensare che i nostri principi siano quelli veri o almeno quelli superiori. In questo modo però finiamo con il non comprendere culture e civiltà diverse dalle nostre, diciamo pure che ci rifiutiamo di comprenderle, ma in realtà esistono altre culture e mentalità che noi non riusciamo, o meglio, non vogliamo capire.
Un tale atteggiamento di superiorità si nota forse soprattutto nella nostra sinistra, in quanto in essa si esaltano di più i valori nuovi dell’Occidente (progressisti, si definiscono) e quindi si è portati a credere di più che essi siano universali e autoevidenti. Anzi, con il woke abbiamo un’intolleranza, che è poi incomprensione, del nostro passato ancora più forte che per le altre civiltà. Chiarisco che qui non intendo mostrare contrarietà verso i progressisti in generale, ma solo una notazione.
Ma anche la destra si sente superiore insistendo magari su altri valori. Per esempio, ai tempi di Bush i neo-con pensavano che bastasse che gli arabi solo provassero l’ordinamento democratico-liberale dell’Occidente perché lo abbracciassero con entusiasmo: non fu così e ne nacque una tragedia.
Diciamo che il velo, il woke, la jihad alla Bin Laden, pur non essendo espressione di tutta una civiltà, tuttavia queste idee sono ragionevoli nell’ambito delle culture nelle quali si presentano.
Possiamo dire in sintesi quindi che una civiltà si auto-giudica in base ai valori della civiltà stessa (autocentralità delle civiltà, dicono gli storici).
Non si tratta solo di qualche errore — sempre presente — nel comprendere un’altra cultura, ma proprio del non rendersi conto del contesto culturale e dei principi da cui poi ogni singola azione prende senso e significato.
Insomma, per noi un Bin Laden è un folle, e non ci rendiamo conto che nel suo contesto è una persona perfettamente coerente, diciamo forse troppo coerente, mentre siamo noi che a lui appariamo dei folli.
Accade poi che, in un contesto religioso, la superiorità venga fatta ascendere alla divinità: caso classico è quello dell'ebraismo che si ritenne il popolo eletto da Dio.
L'autocentralità delle civiltà non deve però essere intesa come relativismo etico, come quello degli antichi sofisti. Per esso infatti tutto è vero e tutto è falso, si può dimostrare tutto e il contrario di tutto, tanto che i sofisti erano famosi per i doppi discorsi in cui sostenevano una tesi e subito dopo un’altra.
Per il relativismo etico e cognitivo quindi in realtà non esiste né il vero né il falso, né il bene né il male, ma solo la capacità di far sembrare bene e vero quello che noi desideriamo che sia considerato tale.
Nelle varietà delle culture invece in ciascuna di esse bene e male, vero e falso sono comunque ben distinti: la differenza sta nel fatto che essi sono diversamente identificati, non che siano ignorati.
Tornando all’esempio del velo: per la civiltà islamica portare il velo è un bene, espressione della femminilità, una regola che preserva l’ordine della società e della famiglia. Per un occidentale invece è un segno di discriminazione sessuale, un’umiliazione della donna, il segno di una società arretrata e ingiusta.
Ciascuno quindi è ben sicuro della sua opinione e ritiene quella dell'altro errata, ma nessuno di essi ritiene che non esista nessuna differenza fra portare il velo o non portarlo.