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AUTOEVIDENZA DEI PRINCIPI  ETICO-POLITICI

 

Pubblicato da  : res publica : quaderni europei settembre  2025

Giovanni De Sio Cesari

www.giovannidesio.it

 

 

Noi siamo portati a credere che i nostri principi, come democrazia, libertà, parità dei sessi, pacifismo e così via, siano universali e autoevidenti. Chi li mette in dubbio è un malvagio o, più comunemente, uno stupido, uno sciocco. Mi pare però veramente infantile pensare che tutti quelli che non sono d'accordo con noi siano dei ritardati mentali: non si può pensare che tutti i maschilisti siano dei deficienti.

In realtà, appena ci guardiamo intorno nel vasto mondo, ci rendiamo conto che tali principi sono riconosciuti quasi solo in Occidente e da un tempo brevissimo rispetto ai tempi storici.

Fino all'Ottocento eravamo certi che la nostra civiltà, la nostra morale e la nostra religione fossero le uniche vere. Tutte certezze che, nel nostro mondo, si sono dileguate: le certezze dei nostri avi sono state superate, non esistono più (purtroppo o fortunatamente).

Molti, qualche secolo fa, pensarono che il nostro mondo, senza certezze, sarebbe crollato: non mi pare che sia avvenuto. Poi, nel futuro, chissà...

La nostra conoscenza ha messo in dubbio e superato anche tutte quelle certezze scientifiche che fino ai tempi del positivismo sembravano sicure e indubitabili: si pensi alle matematiche non euclidee, alla relatività di tempo e spazio, al principio di indeterminazione, all'entanglement quantistico e così via.

Su questo piano, poi, si affermarono altre teorie in contrasto pieno con le nostre autoevidenze: la relatività del tempo e dello spazio, il principio di indeterminazione e, ultimamente, anche il principio quantistico.

Tutto ciò ci porta a credere che quello che per noi è autoevidente potrebbe benissimo non essere vero.

La manifestazione dei nostri principi etico-politici ebbe la sua prima codificazione con la Dichiarazione di Indipendenza americana nel Settecento. In essa si affermava:

"Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità."

Queste affermazioni vengono definite autoevidenti perché si parte da una premessa considerata vera. Ma in effetti non erano affatto autoevidenti, visto che apparve ed era effettivamente una nuova concezione del mondo in opposizione a quanto fino ad allora ritenuto attraverso i secoli. Si noti poi che il principio di uguaglianza e libertà veniva proclamato da persone che avevano degli schiavi: allora come si può pensare che i neri, che certamente sono uomini, non abbiano questi diritti?

Si può pure pensare che alla fine essi vivano meglio come schiavi in America che come liberi selvaggi in Africa, e forse era pure vero, ma allora perché enunciare quei principi? Questa mi pare la contraddizione.

Il fatto è che i principi universali sono sempre teorici, la loro realizzazione è cosa diversa. Probabilmente quelli che li proclamarono pensavano che la schiavitù fosse cosa temporanea che sarebbe stata superata quando i neri avrebbero raggiunto il livello culturale e umano dei bianchi.

 

Logica e verità

Si parte quindi sempre da una premessa, ma come si fa a dimostrare logicamente che una premessa è vera se non ricorrendo ad altre premesse? Occorre quindi dimostrare le premesse con altre premesse, ma poiché non si può andare all'infinito, allora la logica di per sé non dimostra nulla e si deve necessariamente partire da una premessa indimostrata.

Si tratta di una scelta personale, o meglio, direi culturale? Posso partire dalla premessa culturale che tutti sono uguali o anche dal suo opposto. Il problema è la premessa, non la logica.

Logico infatti non vuol dire vero, ma solo consequenziale. Se io dico:

È perfettamente logico, ma non vero. Se invece concludessi:

Sarebbe non logico, ma vero.

I principi etico-politici non sono questione di logica ma di principi, o se si preferisce, di obiettivi: per San Francesco è desiderabile sorella povertà, per Buddha l'annientamento, per noi il benessere.

La logica è un fatto oggettivo, uguale per tutti, ma è la consequenzialità del discorso. Ma le premesse da cui partiamo possono essere diversissime, come ognuno può constatare.

Non è che la Shoah fosse cosa illogica: se uno pensa che gli ebrei siano dei sottouomini che infettano l'umanità, allora anche eliminarli può essere giustificato.

 

Dimostrare e argomentare

Va però chiarito che il fatto che nulla sia dimostrabile in modo assoluto non significa che tutto sia vero o che tutto sia falso, né che non ci sia differenza fra sciocchezze e affermazioni fondate. Il problema non è se esista o meno la verità, ma se noi possiamo attingerla o meno con certezza.

Ad esempio: indubbiamente Dio o esiste o non esiste: una delle due affermazioni è vera e l'altra è falsa; ma possiamo noi sapere con certezza quale delle due proposizioni è quella vera?

In altri termini, nulla è dimostrabile, ma di tutto si può argomentare: in genere si possono raggiungere premesse condivise con gli interlocutori da cui partire. La verità che conosciamo è sempre relativa al momento e agli interlocutori; nulla è definitivo, ma tutto può essere rimesso in discussione.

Nessuno pensava che si potesse mettere in discussione la geometria euclidea, eppure alla fine dell'Ottocento sono nate le matematiche non euclidee. Dobbiamo sostituire al concetto di dimostrazione quello di argomentazione.

Ad esempio: se qualcuno mi dice che non è vero che l'acqua sia un composto di due gas, H e O, allora io argomento che, se tutti i testi di chimica lo dicono, sarà vero. Non vedo cosa potrebbe argomentare l'altro: forse che c'è una congiura per dire una falsità?

 

Linguaggio

Occorre poi notare che anche quando siamo d'accordo sui principi, i problemi riguardano cosa intendiamo precisamente e in che modo possono essere realizzati. Ad esempio, anche se concordiamo sul fatto che gli uomini debbano essere uguali e liberi, resta però da chiarire cosa intendiamo realmente con questi termini.

In effetti, "libero" può indicare tutto e il contrario di tutto. "Libero" può significare realizzare se stesso: e allora il problema diventa: qual è la nostra natura? Posso pensare che la realizzazione di una donna sia quella di essere sposa e madre oppure di avere le stesse funzioni degli uomini. Nel primo caso le nostre ave erano veramente libere, nel secondo lo sono adesso. Dove è la libertà delle donne? Dipende dalla concezione culturale che si ha.

Che vuol dire uguaglianza? Il principio di uguaglianza fu enunciato in opposizione a una società in cui le classi ereditariamente svolgevano una funzione: i figli dei re regnavano, i nobili amministravano, i contadini coltivavano, gli artigiani fabbricavano, ecc.

Tuttavia, quello che poi apparve chiaro è che affermare, in linea di principio, che tutti sono uguali e possono quindi ricoprire qualsiasi incarico secondo i propri meriti è un'idea solo teorica, perché le condizioni economiche e culturali della famiglia condizionano fortemente i bambini fin dalla nascita. Da qui l'esigenza dell'intervento dello Stato per rimuovere gli ostacoli, cosa non semplice e che condiziona fortemente le società occidentali, che ormai hanno abbandonato il liberismo classico per adottare lo Stato sociale.

Insomma, per essere uguali bisogna assicurare a tutti scuola, cure mediche e standard di vita sufficienti, cosa molto difficile che implica molte tasse (lo Stato moderno gestisce più del 40% del reddito). Questo mi pare il problema della società moderna: dare a tutti la possibilità di manifestare le proprie capacità, cosa che non si riuscirà mai a fare completamente, ma a cui ci si può solo avvicinare.

Nessuno dubita del principio dell'uguaglianza, il problema è come realizzarlo.