home

 

International legality

 

 

 

Use of force

https://www.rulac.org/legal-framework/use-of-force

 

 

The body of international law that governs the use of force between states is called jus ad bellum. Jus ad bellum determines when one state may lawfully use force against another. It is sometimes called jus contra bellum to reflect that it is a legal regime based on the general prohibition of the use of force between states.

Under customary international law and the Charter of the United Nations , the use of force is prohibited with two generally accepted exceptions. First, the United Nations Security Council may authorize the use force to maintain and restore peace and security. Under the collective security system set up by Chapter VII of the Charter of the United Nations, the Security Council is to take measures in case of a threat to the peace, breach of the peace or act of aggression. Such measures include the authorization of military action. Second, states may use force when acting in self-defence against an armed attack. Not every use of force amounts to an armed attack. An armed action must present a certain degree of gravity to entail the right to self-defence. The right to self-defence may be exercised individually or collectively. For self-defence to be lawful, the use of force in response to an armed attack must be both necessary and proportionate. It remains controversial whether the right to self-defence encompasses the right to self-defence against an armed attack by a non-state actor or a right to pre-emptive self-defence. Similarly, other purported exceptions such as humanitarian intervention or the use of force under the responsibility to protect doctrine are contested.

Jus ad bellum and international humanitarian law

International humanitarian law operates independently from questions surrounding the legality of the use of force between states. Regardless of the legality of the use force or more generally the reasons given for resorting to force, the obligations under international humanitarian law remain the same for all parties to a conflict. In other words, the application of humanitarian law does not involve a judgment on the legality or legitimacy of the resort to force. For example, a state claiming to act in self-defence against foreign aggression has exactly the same obligations under international humanitarian law as the purported aggressor. Any other approach would led to controversy and undermine international humanitarian law as each party would argue to be the victim of aggression.

Similarly, international humanitarian law does not involve a judgment on the legality or legitimacy of use of force by armed groups. Taking up arms against the state is not a violation of international humanitarian law. In contrast, domestic law usually prohibits taking up arms against the state. Therefore, members of armed groups may face prosecution and punishment under domestic law for taking up arms, including for acts that are lawful under international humanitarian law.

Interventions short of the use of force

Coercive acts that do not amount to a use of force are prohibited under the principle of non-intervention. Direct or indirect support of a foreign state to an armed group opposing the territorial government in the form of funds, weapons, or training constitutes a breach of the principle of non-intervention.

 

 

 

 

 

 

La forza del diritto e il diritto della forza

 

 

Giovanni De Sio Cesari

 www.giovannidesio.it

 

 

 

La contrapposizione tra "forza del diritto" e "diritto della forza" ha radici nell'Illuminismo e presuppone che la prima debba prevalere sulla seconda. Questo concetto è spesso richiamato in tempi di conflitto, come quelli attuali in Ucraina e Palestina. Sebbene sembri autoevidente, un'analisi più approfondita rivela che nel contesto internazionale, la realtà è spesso l'opposto: la forza prevale sul diritto. Questo accade perché esistono ragioni profonde per cui un principio che a livello teorico appare indiscutibile, nella pratica si scontra con una realtà ben diversa.

Per comprendere a fondo il problema, è essenziale distinguere l'applicazione di questi concetti nel diritto interno rispetto al diritto internazionale.

 

Sul piano interno

All'interno di uno Stato, esiste un diritto codificato, uno dei tre elementi che lo caratterizzano. Le leggi sono emanate da un'autorità (sovrano, parlamento, autocrate) e, in generale, riflettono la cultura del popolo a cui si riferiscono. Nel passato, il diritto non era nemmeno codificato; si basava su usi e consuetudini. Solo con la Rivoluzione francese e la nascita dello Stato moderno è emersa l'esigenza di codificare le norme per garantire il cittadino dall'arbitrio dell'autorità.

All'emanazione delle leggi segue la forza dello Stato che, attraverso la polizia e le carceri, punisce coloro che le infrangono. Il cittadino non ha modo di opporsi a questa forza. Tuttavia, la maggior parte delle persone rispetta le leggi non per paura della punizione, ma perché le norme riflettono principi condivisi. Ad esempio, la maggior parte delle persone riconosce che reati gravi come il femminicidio sono inaccettabili, e coloro che li commettono sono una percentuale molto piccola della popolazione.

Nonostante l'accettazione generale, il diritto interno affronta delle sfide. Le opinioni dei cittadini sono diverse, e la forza non è sempre sufficiente o opportuna. Tuttavia, in tempi "normali," queste divisioni restano all'interno di un ambito culturale comune. Invece, in momenti di crisi, come rivoluzioni o guerre civili, la società si spacca e il diritto condiviso scompare. In questi casi, chi vince il conflitto impone i propri principi: è la forza a creare un nuovo diritto.

 

Sul piano internazionale

A livello internazionale, la situazione è radicalmente diversa. Se i conflitti sanguinosi esplodono, significa che le parti hanno concezioni del diritto e valori radicalmente opposti.

Prendiamo, ad esempio, il conflitto in Palestina. Per i fondamentalisti islamici di Hamas, la Palestina è stata affidata da Dio ai credenti e lasciarne anche una piccola parte ai non credenti sarebbe blasfemo.

Allo stesso modo, per gli ebrei fondamentalisti (Haredim), Dio ha promesso l'intera Palestina al popolo eletto.

Il mondo occidentale, invece, sostiene la divisione in due Stati. In questo contesto, ha senso parlare di diritto se ogni contendente ha una sua idea del tutto diversa?

Lo stesso si può dire per il conflitto tra Russia e Ucraina, dove i russi considerano la NATO una minaccia alla loro esistenza, mentre gli ucraini e gli occidentali vedono i russi come invasori.

Situazioni analoghe si sono verificate nella Guerra Fredda, nel Risorgimento e nelle guerre di religione. In questi casi, non esiste un diritto condiviso tra le parti.

Inoltre, manca la forza per imporre il diritto. Organizzazioni come l'ONU non hanno un potere coercitivo in grado di fermare coloro che violano le decisioni prese. A differenza di quanto avviene all'interno di uno Stato, non esiste un'entità internazionale con una "polizia" o un "sistema giudiziario" in grado di far rispettare le proprie decisioni.

 

Conclusioni

In conclusione, mentre nel contesto dello Stato, in tempi di normalità, la forza del diritto prevale (pur con i suoi limiti), a livello internazionale non si può parlare di un diritto universalmente riconosciuto né di una forza in grado di farlo rispettare.

Spesso, chi ha più forza riesce a imporre il proprio concetto di diritto, ma anche questo non accade sempre. La dinamica internazionale rimane complessa e, purtroppo, troppo spesso il "diritto della forza" ha la meglio sulla "forza del diritto".