Pubblicato   da    www.AmericacallsItaly.org   ottobre   2006.          HOME 

 

 SCUOLA ISLAMICA IN ITALIA

 

Il problema

In Italia sono stati fatti vari tentativi per istituire scuole per soli arabi :questo fatto ha provocato forti polemiche  per il timore diffuso  che tali scuole di fatto impediscano l'integrazione dei giovani mussulmani immigrati , futuri cittadini italiani

Riportiamo alcune prese di posizione   :G Zagato,,S. Girardin, Magdi Allam, Fuad Allam, G De Sio Cesari

 

«Scuola araba: sul piano didattico risponda Dutto»
 
Gianandrea Zagato

La scuola araba di via Ventura resta chiusa. No, nessun accanimento dell'amministrazione comunale nel rilascio dell'autorizzazione «all'agibilità della struttura», bensì un ritardo nella richiesta che è «arrivata appena tre giorni fa». Lo rivela Paolo Massari, consigliere comunale di Forza Italia e presidente della commissione Educazione: «La lettera di richiesta è datata 20 ottobre ma è stata anticipata tre giorni fa con un fax. Dunque, quando Palazzo Marino riceverà tutti gli incartamenti relativi alla messa in sicurezza,
non avrà più alcun problema nel rilasciare l'autorizzazione».
Ma, attenzione, «bisogna evitare l'equivoco: non è il Comune a rilasciare il via libera alla scuola, quanto il direttore scolastico regionale Mario Dutto. È a lui che va richiesta l'autorizzazione» continua Massari, che ieri ha chiesto ai rappresentanti dell'istituto musulmano di spiegare ai consiglieri comunali la didattica. Spiegazione affidata alla direttrice scolastica di via Ventura, Lidia Acerboni: «Tre ore quotidiane in arabo e due e mezzo in italiano per un totale di 891 ore di insegnamento» su libri di testo messi a disposizione dal consolato egiziano.

Didattica e libri su cui la direzione scolastica regionale ha voluto vederci più chiaro: «Per costruire il progetto didattico» sostiene la professoressa Acerboni, che in passato ha collaborato con la struttura illegale islamica di via Quaranta, «si è messo in pratica un piano aggiornato alle norme attualmente in vigore in Egitto. Due i livelli scolastici previsti: scuola primaria - le elementari - e scuola secondaria di primo grado - le medie». Ma sulla didattica ci sono più dubbi che certezze,

 

 

Da via quaranta a via ventura
 SIMONE GIRARDIN editorialista LA PADANIA

A Milano l’incubo della scuola coranica di via Quaranta non è passato come qualcuno pensava a settembre dell’anno scorso quando la struttura abusiva venne chiusa per inagibilità dal Comune. Si è solo trasferito in via Ventura (zona Lambrate). Qui l’allora “doposcuola”, anche esso abusivo, si è oggi trasformato in una struttura (altrettanto abusiva) per l’insegnamento dell’islam dove decine di ragazzi, non regolarmente iscritti negli istituti pubblici riconosciuti dallo Stato, prendono lezione da parenti e pseudo-docenti senza alcuna abilitazione.
Il problema della ghettizzazione volontaria della comunità araba torna dunque sotto i riflettori. Facciamo un passo indietro.
Tutto iniziò undici anni fa quando la struttura di via Quaranta aprì i battenti come scuola consolare egiziana. Una struttura gelosamente tenuta “riservata” negli anni dai loro stessi frequentatori fino allo scoppiare delle polemiche scatenate dalla Lega.
La scuola di via Quaranta - dicono i “docenti” islamici e i genitori dei ragazzi - non sarebbe una madrassa (scuole dove si impara solo il corano salmodiandolo) e neppure una scuola islamica (non si insegna l’islam). Si insegnano in lingua araba i programmi scolastici egiziani sui relativi testi.
Alla fine dei corsi, a 14 anni, i ragazzi hanno un titolo egiziano che però non ha valore in Italia: formalmente potrebbero frequentare le scuole superiori italiane, nei fatti non ne sono preparati.
Un campanello d’allarme che mostrò le lacune di un modello scolastico come via Quaranta assolutamente inadeguato per rispondere alle esigenze di integrazione e scolarizzazione degli stranieri di cultura islamica. Ma negli anni nulla è cambiato, nonostante si fosse avvertita l’esigenza, da parte delle istituzioni cittadine, di spingere i ragazzi islamici a frequentare le scuole pubbliche italiane.
Si è solo sviluppato un processo di “italianizzazione” e di presunta “legalizzazione”. Ad esempio oggi tutti i ragazzi delle scuole elementari islamiche a fine anno si presentano alle scuole pubbliche per l’esame di abilitazione. Poco, troppo poco.
Una soluzione molto fragile che ha spinto i genitori musulmani non tanto a portare i loro ragazzi nelle strutture scolastiche italiane (come volontà fattiva di integrazione) bensì ad avanzare la richiesta di una prima forma di legalizzazione complessiva come scuola per stranieri in Italia. Inizialmente per le elementari poi sempre più in alto fino alle superiori.
Partono così i contatti con il Comune di Milano. Ma se la scuola avvia la procedura deve avere una sede idonea per avere il riconoscimento. Le famiglie islamiche dicono di aver avviato l’iter. Ma di quei documenti nessuno sa niente. Nè agli uffici regionali dell’istruzione, nè l’amministrazione comunale milanese. Tra l’altro c’è un problema da non sottovalutare: attaccata alla scuola c’è anche una moschea che ha avuto un passato diciamo tumultuoso con arresti e perquisizioni anti-terrorismo.
La trattativa comunque andrà avanti ma non troverà mai sbocco in una soluzione definitiva; fino a quando il Comune non si decide a mettere la parola fine inviando una lettera ufficiale di diffida in cui si invita a chiudere la scuola di via Quaranta.
Sarà così. A fine settembre del 2005, nonostante le barricate dell’ex prefetto Bruno Ferrante, da poco candidatosi sindaco dell’Unione, il Comune chiuderà la scuola per inagibilità. Gli oltre quattrocento ragazzi iscritti e i loro genitori non fanno però una piega e si spostano nella struttura in via Ventura, da ieri trasformata in un vero e proprio istituto arabo.
Ma al di là del dato strettamente tecnico che ha portato alla chiusura dello stabile di via Quaranta, la soluzione ideale, a detta degli operatori del settore, resta una sola: l’inserimento dei ragazzi arabi nella scuola pubblica. Solo così si può evitare - come scriveva a Magdi Allam - la possibile nascita «di scuole di violenza e di catechism
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Magdi Allam  Vice direttore Corriere della Sera, giornalista di origine egiziana

Gli errori della mala-integrazione


No a moschee e  scuole islamiche
“Le moschee, anche quelle presenti in Europa e in Italia – ha asserito il vicedirettore del Corriere della Sera nel suo intervento all’Isola Caprera – sono luoghi dove si celebrano matrimoni poligamici, si combinano matrimoni, vengono impartite condanne di apostasia contro chi è considerato nemico degli islamici”. Nel libro “Io amo l’Italia” entra più nel dettaglio e afferma che lo Stato dovrebbe promuovere “l’italianizzazione delle moschee, al fine di trasformarle in case di vetro dove qualsiasi italiano possa entrare, capire e condividere i valori diffusi. Dove il sermone va pronunciato in lingua italiana, collante ideale perché gli stessi fedeli provengono da una moltitudine di paesi con idiomi diversi”. Ma parla anche di corsi di formazione per imam italiani, ovvero guide religiose musulmane con la cittadinanza italiana, e la formazione di un Consiglio dei Musulmani d’Italia. No invece alle scuole islamiche: “A differenza delle scuole svizzere, americane o ebree, che propugnano i nostri stessi valori la scuola islamica è un ghetto scolastico. Quella di Milano è nata 15 anni fa presso la moschea di viale Jenner, spesso al centro di indagini. I ragazzi al mattino intonavano l’inno all’islamizzazione dell’occidente. Quello che mi preoccupa non sono i circa 100 studenti di questa scuola contro i 20 mila che invece frequentano la scuola pubblica in Lombardia, bensì il fatto che le istituzioni abbiano finito per legittimarne l’esistenza. E’ stata chiusa perché non c’era l’agibilità dell’edificio, non perché era illegale. Ora hanno trovato altri locali forniti dalle Acli; a sostenerla ci sono dei politici in consiglio comunale e dei magistrati come legali. Tutto questo è preoccupante”.
 

 

 


Perché dico no alla scuola islamica di Milano
KHALED FOUAD ALLAM (docente universitario di origine lagerina )
 

  da Repubblica -

IL RISCHIO DI CREARE AULE GHETTO
In Germania e Olanda esperienze culturali di questo tipo sono già fallite

Nella parte della mia vita passata in Algeria, quando mia madre era direttrice della mia scuola elementare, la "Capitain Zachloul", la scuola non si chiamava "islamica": era la scuola di un giovane paese, appena giunto all´indipendenza, in cui si pensava a formare dei ragazzi che sarebbero stati i futuri cittadini algerini; l´Islam non aveva ancora assunto il carattere di rivendicazione che ha oggi. Oltre alla scuola, per alcuni anni frequentai anche una madrassa: in essa imparai a conoscere meglio l´arabo e la spiritualità islamica. Ma lo Stato distingueva bene la scuola statale da quella della formazione religiosa. Certo, nella scuola pubblica l´insegnamento dell´educazione civica era mescolato a un po´ di religione, ma non ne era certo l´elemento fondativo: la scuola era quella dello stato algerino, perché si era in Algeria.
E´ una pura illusione pretendere di creare oggi una scuola islamica in Europa: innanzitutto perché sarebbe un´invenzione, creata dal bricolage devastante di maestri spesso improvvisati. Ma è anche un´illusione pensare che l´immigrato tornerà un giorno nelle sue terre: semplicemente perché nell´immigrazione è racchiusa l´idea di una diluizione dell´identità. Spostarsi altrove significa accettare, volontariamente o involontariamente, la contraddizione rappresentata dal vivere col corpo e con la mente in un luogo che non è quello delle proprie origini; e i figli, ancor più dei genitori, manifesteranno il desiderio di rimanere laddove sono cresciuti. I genitori non rendono un buon servizio ai figli imponendo loro un modello scolastico che, oltre che da inventare, risulterebbe comunque trapiantato da un altro mondo, da un´altra storia. Il risultato è che i figli rischierebbero di aumentare le fila dei ragazzi che ho chiamato border-line, quelli che prima o poi non si riconosceranno né nella cultura dei genitori né in una cultura islamica sostanzialmente inventata, e inventata più in funzione dei desideri dei genitori che della crescita dei ragazzi.
Certo, mi si può contestare - con argomentazioni giuridiche mescolate a un certo culturalismo - che esistono in Italia e in Europa delle scuole di altre confessioni: ma va detto che quelle scuole si sono sviluppate in un contesto di laicità accettata, e non per sfuggire o per occultare la modernità della società nella quale si sono sviluppate. Mentre l´Islam deve compiere ancora un importante passo nel confrontarsi con realtà diverse da sé, e nel formulare valori, se non secolarizzati, certo laici: e ciò non significa fuga dalla diversità bensì una sua accettazione.
L´esperienza conflittuale in atto a Milano comporta un certo rischio di radicalizzazione del dibattito: perché in realtà essa si pone come alternativa a quelle che sono le norme e i valori di uno Stato. Ciò che più si deve avere a cuore è la crescita di quei ragazzi, che non può essere soltanto una crescita linguistica e religiosa: perché crescere significa anche metabolizzare l´integrazione, dunque far propria la capacità di rimettersi in causa, di confrontarsi con gente di tutto il mondo; e questo una società chiusa in se stessa non lo permette, essa crea invece una prigione psicologica per quei ragazzi. Dico questo perché esperienze del genere sono state fatte in Germania e in Olanda, pensando che l´accettazione delle culture altre passasse attraverso un rispetto totale - ma che diventava totalizzante - della loro cultura. In quelle scuole i ragazzi turchi o arabi vivevano un´identità turca completamente chiusa al mondo esterno; usciti da esse, oltre che conoscere male la lingua tedesca o quella olandese, non conoscevano nemmeno la cultura del paese in cui erano nati.
Nella vicenda della scuola di via Quaranta non è racchiusa soltanto la questione dell´educazione dei figli, ma anche di quella dei genitori: perché questi ultimi debbono crescere e imparare a non avere paura dell´Occidente e di un Islam che si occidentalizzerà, che lo vogliano o no.
 

 

 

 

Scuola per islamici

di Giovanni De Sio Cesari (studioso dell'islam )  ( www.cattolici..net 

 

L’iniziativa di chiudere una scuola per islamici ha avuto grande risonanza. Prescindiamo dagli aspetti tecnici e formali  che sembrano essere più pretesti che effettive  esigenze per andare al nocciolo del problema: è accettabile nel nostro paese una scuola riservata solo agli immigrati di una certa cultura e segnatamente islamica ?. Il preside della scuola ha affermata che si tratta di una scuola che segue i programmi ( laici ) delle scuole egiziane e non di  una “madrase”  (scuola coranica) dalle quali sono usciti, purtroppo, tanti  attentatori suicidi. Aggiunge anche che in quella scuola non si predica un islam integralista ma anzi si insegna il rispetto per tutte le religioni. Accettiamo per vere le affermazioni del preside , anche  se non abbiamo elementi per giudicarne  la veridicità. Tuttavia anche in questo caso è comunque opportuna una scuola separata ? Gia alcuni esponenti  islamici come il presidente della Lega Mondiale Islamica  l’ex ambasciatore Scialoja già hanno dato una risposta chiaramente negativa.  

Infatti in tal modo di fatto si crea per gli immigrati un mondo separato e pertanto estraneo alla nazione nella quale invece dovrebbero integrarsi in quanto  futuri cittadini italiani

Ma l’avvenimento deve essere visto nella  prospettiva di un “ certo” islam.
Secondo la tradizione islamica infatti il mondo viene diviso in due parti nettamente distinte : la terra dall’Islam e la terra degli infedeli indicati con i termini “dar al islam”(terra dei credenti) e “dar al harbi”, letteralmente “ terra della guerra” , cioè dove è lecito portare il “jihad”, la guerra santa, che può anche essere più pacificamente detta “dar al-kufr” (terre degli infedeli). Va notato che la “umma” (cioè la comunità dei credenti corrispondente più o meno alla nostra “chiesa” ) non coincide con “ dar al islam: ( terra dell’islam). Infatti le “genti del libro”(cioè cristiani e ebrei) sono accettati in terre islamiche come “dhimmis” (cioè protetti) in cambio di un tributo (“gizyàh”) che sostituisce il tributo coranico imposto ai mussulmani (“zakat”) Questo convivenza è avvenuta da sempre e spesso viene indicata come un esempio di tolleranza religiosa ma in realtà si tratta di una garanzia  data  a una comunità e  non al singolo. Non si tratta quindi di assicurare a tutti un la libertà di credo, come avviene in Occidente, concetto assolutamente estraneo alla tradizione islamica, ma semplicemente di permettere a comunità non islamiche di sopravvivere pagando un contributo del quale non è importante l’ammontare quanto il valore simbolico.
D’altra parte si ammette che gli islamici possano trovarsi in “dar al Kufr” (terra degli infedeli) ma solo per motivi particolari tra i quali però ora viene anche riconosciuta la esigenza di lavoro che ha dato luogo alla attuale imponente ondata di immigrazione in Occidente. Ma esiste una credenza fondamentale  : L’Islam è superiore e nulla deve elevarsi al di sopra dell’Islam : quindi  il musulmano non deve lasciarsi assorbire dalla cultura del paese di  accoglienza Da ciò deriva la tendenza proprio dei musulmani a chiedere nei paesi di immigrazioni statuti particolari con l’intento implicito di ricreare una propria comunità chiusa agli influssi esterni del paese in cui si trova
In questa prospettiva si colloca la richiesta di una scuola particolare nella quale i giovani possano formarsi come in una società chiusa.
La scelta di avere proprie scuole e organizzazione può apparire una scelta di libertà doverosa verso tutti e quindi anche verso i mussulmani. Ma per quanto detto non è cosi: in effetti la creazione di organismi separati, soprattutto di una scuola separata annulla la libertà individuale dei mussulmani. Ormai gli immigrati, come è giusto che sia, si apprestano a divenire i cittadini italiani a pieno titolo. Lo Stato deve assicurare a tutti i suoi cittadini la propria libertà personale: la creazione di corpi separati per cultura in pratica vanifica in concreto tale libertà perché fissa ciascun individuo alla sua cultura di nascita. E’ quello che avviene nei paesi mussulmani in cui i soggetti della tolleranza non sono gli individui, ma i gruppi organizzati e riconosciuti. Ma la nostra libertà ha per soggetto, l’uomo, il singolo uomo che può liberamente scegliere le comunità a cui liberamente aderire.