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IMMIGRATI E RAZZISMO

Razzismo e problemi socio-economici

 Giovanni De Sio Cesari

 

Il nuovo governo uscito dalla  clamorosa vittoria della PDI ( popolo della liberta ) guidata da Berlusconi  ha posto fra le sue priorità  misure severe  sulla regolamentazione della immigrazione clandestina  Causa (ma anche effetto ) è stata la diffusione sempre maggiore della  insofferenza  per la immigrazione clandestina

 Da parte di  settori dell’opinione pubblica il fenomeno dell’insofferenza è stato  interpretato come un razzismo, o discriminazione etnica

 Per dare una risposta occorre innanzitutto  chiarire che intendiamo per razzismo: si tratta di una teoria secondo la quale le capacità e le caratteristiche  dell’individuo sono determinate in modo significativo  dal patrimonio genetico del gruppo umano (razza) nel quale è nato.  Esempio classico è l’antisemitismo: era la teoria (si fa per dire) secondo la quale gli ebrei, a prescindere  da cosa concretamente facessero,  erano sempre, per  eredita genetica, dei sottouomini, dei reprobi e dei malvagi , non importa  se si trattasse del più grande dei geni, come Einstein o di modesti artigiani, di eroi di guerra o di pacifiche casalinghe.

 In linea generale non si trova affatto diffusa in Italia l’idea che questo o quel gruppo di immigrati sia per propria natura, per eredita genetica migliore o peggiore degli italiani: gli episodi in cui si manifestano tali ideologie  che pure ci sono appartengono a esigue minoranze che non rappresentano certo  la generalità degli italiani i quali per lunga  tradizione non sono mai stati inclini  al razzismo

 

 Non si pone infatti un  problema degli immigrati in generale ma si opera una netta distinzione fra immigrati regolari (e lavoratori regolari)  e immigrati irregolari.  Solo per questi ultimi  si pongono insofferenze che sono di due generi : uno economico e uno di sicurezza pubblica

 Per il primo aspetto va innanzi tutto notato che l’Italia si trova in crisi economica o almeno in una dolorosa  stagnazione: gli stipendi non riescono a tener dietro all’inflazione  e molte famiglie denunziano di non riuscire più ad arrivare alla fine  del mese: soprattutto pero è sentita la precarietà del posto di lavoro che, diversamente dall’America  in cui vi è una sostanziale piena occupazione,  è particolarmente temuta per la grandissima difficoltà di trovare lavoro.   In  questa situazione la presenza di un notevole numero di immigrati disposti a lavorare in nero e con salari molto più bassi mette in crisi le fasce più povere della popolazione  che vedono sfumare le poche occasioni di lavoro. Interi settori delle attività produttive, in pratica, sono in mano  agli immigrati: ora  si accetta (con non troppo piacere, a dire la verità ) che  gli immigrati regolari  che lavorano cioe  in condizioni uguali p quasi ( molto quasi, in verità) alla manodopera italiana  ma si teme l’ingresso di altre ondate di immigrati irregolari che lavorino in nero. senza contributi: Il timore è condiviso anche dagli immigrati regolari che si sentono  minacciati dalle nuove ondate  di clandestini

 Una regolarizzazione. un contingentamento di immigrazioni che tenga effettivamente conto delle possibilità di assorbimento  del paese  appare  quindi un fatto necessario indispensabile

 L’idea che si possa accogliere in base a un principio di umanità, di solidarietà tutti quelli che vorrebbero entrare è al di fuori della realtà, è contrario a  ogni buonsenso

L’altro timore riguarda l’ordine pubblico. I reati commessi da immigrati sono  proporzionalmente  molto  maggiori di quello degli italiani. Propriamente  non tutti i gruppi di immigrati sono interessati al fenomeno:anzi alcuni gruppi come i Singalesi, i Filippini ,i Cinesi si distinguono per non la quasi assoluta mancanza di reati .Altri gruppi, soprattutto Rumeni, Albanesi e Marocchini invece  mostrano un alto grado di incidenza di reati : spaccio di droga, rapine e furti.  Notevole che questi gruppi particolarmente inclini a delinquere sono quasi assenti invece nelle regioni del sud che hanno una malavita organizzata molto efficiente che non accetta concorrenze e ricorre a mezzi spicci e molti efficaci

Si chiede quindi un controllo molto stretto sugli stranieri che delinquono: la richiesta che l’immigrato abbia un lavoro regolare sl incontra  anche con l’esigenza  della sicurezza nella  convinzione che coloro che hanno un regolare lavoro  difficilmente si danno poi a delinquere.

Ci pare in conclusione che il fenomeno del razzismo non c’entra nulla con i problemi dell’immigrazione che sono invece di carattere economico e di  sicurezza

 

 

Il "clandestino". L’invenzione di una nuova "razza"?

 

Elisabetta Ferri, http://www.meltingpot.org 

 

Un’altra estate di sbarchi e di tragedie nel Canale di Sicilia. Una strage annunciata fin dall’ingresso dell’Italia nell’area Schengen con il naufragio e le 283 vittime della tragedia di Porto Palo.
Sebbene gli sbarchi, giova ricordarlo, non siano il principale canale di ingresso di migranti in Italia, la stampa dedica sempre molta attenzione alla cosiddetta invasione delle coste italiane.
Il linguaggio dei media mainstream, della televisione soprattutto, è pervaso ormai da un cliché, che, se spicca per la monotonia, merita però una riflessione più attenta, poiché sembra il sintomo di un cambiamento culturale che sta avvenendo nel nostro paese, o che si vuole provocare: la nascita di una nuova razza, il clandestino.

La ripetizione spinge a porsi un interrogativo: quale strategia si cela dietro questa retorica?
L’ingresso dell’Italia nell’Unione Europea ha posto forti vincoli alle politiche dell’immigrazione e dell’asilo nel nostro paese. I flussi migratori devono essere gestiti e controllati. Possono avere accesso solo un numero prestabilito di individui, utili al sistema produttivo e la cui presenza è strettamente vincolata al lavoro.
Chiunque faccia accesso nella Fortezza Europa privo di un foglio di carta che ne autorizzi la permanenza deve essere respinto o individuato e rispedito al proprio paese.
Chiunque, spinto dal desiderio di condurre una vita migliore, o dalla miseria, o da guerre, o dall’impossibilità di vivere in un paese che non tollera una dissidenza politica o un orientamento sessuale, non ha diritto a rimanere se privo di questo pezzo di carta.
Questa, almeno, è la retorica.
La strategia, come abbiamo scritto più volte su questo sito, è quella di riduzione all’invisibilità e a esistenza precaria da fruttare per il lavoro nero.

 

Irrigidire il sistema giuridico, militarizzare le frontiere, significa accettare la possibilità che chi cerca comunque di passare naufragi, sia speronato, non sia soccorso, muoia di stenti, sia rispedito in paesi, come la Libia, denunciati per le torture e le violazioni di diritti umani in strutture detentive finanziate dall’Italia.
Tutto questo significa che non dobbiamo rimanere impressionati davanti alle immagini dei cadaveri, oppure quando leggiamo i racconti di chi è arrivato e racconta dell’amico, della moglie, del paesano che non c’è la fatta, che è stato risucchiato dal mare.
Queste persone, che siano uomini o donne o bambini o profughi, per la stampa sono semplicemente clandestini.
Clandestino, secondo il Testo Unico sull’immigrazione è colui che attraversa le frontiere senza un documento che ne autorizzi l’ingresso.
Non potrebbero essere semplicemente persone quando arrivano morte sulle nostre coste, dato che non hanno avuto tempo per oltrepassare alcuna frontiera?
 

 

La deriva del razzismo

da Il Manifesto 29/5/2008
 

Siamo persone - storici, giuristi, antropologi, sociologi e filosofi - che da tempo si occupano di razzismo.
Il nostro vissuto, i nostri studi e la nostra esperienza professionale ci hanno condotto ad analizzare i processi di diffusione del pregiudizio razzista e i meccanismi di attivazione del razzismo di massa. Per questo destano in noi vive preoccupazioni gli avvenimenti di questi giorni.

Le aggressioni agli insediamenti rom, le deportazioni, i roghi degenerati in veri e propri pogrom, e le gravi misure preannunciate dal governo col pretesto di rispondere alla domanda di sicurezza posta da una parte della cittadinanza. Avvertiamo il pericolo che possa accadere qualcosa di terribile: qualcosa di nuovo ma non di inedito.
La violenza razzista non nasce oggi in Italia. Come nel resto dell'Europa, essa è stata, tra 800 e 900, un corollario della modernizzazione del Paese. Negli ultimi decenni è stata alimentata dalla strumentalizzazione politica degli effetti sociali della globalizzazione, a cominciare dall'incremento dei flussi migratori e dalle conseguenze degli enormi differenziali salariali. Con ogni probabilità, nel corso di questi venti anni è stata sottovalutata la gravità di taluni fenomeni. Nonostante ripetuti allarmi, è stato banalizzato il diffondersi di mitologie neo-etniche e si è voluto ignorare il ritorno di ideologie razziste di chiara matrice nazifascista. Ma oggi si rischia un salto di qualità nella misura in cui tendono a saltare i dispositivi di interdizione che hanno sin qui impedito il riaffermarsi di un senso comune razzista e di pratiche razziste di massa.
Gli avvenimenti di questi giorni, spesso amplificati e distorti dalla stampa, rischiano di riabilitare il razzismo come reazione legittima a comportamenti devianti e a minacce reali o presunte. Ma qualora nell'immaginario collettivo il razzismo cessasse di apparire una pratica censurabile per assumere i connotati di un «nuovo diritto», allora davvero varcheremmo una soglia cruciale, al di là della quale potrebbero innescarsi processi non più governabili.
Vorremmo che questo allarme venisse raccolto da tutti, a cominciare dalle più alte cariche dello Stato, dagli amministratori locali, dagli insegnanti e dagli operatori dell'informazione. Non ci interessa in questa sede la polemica politica. Il pericolo ci appare troppo grave, tale da porre a repentaglio le fondamenta stesse della convivenza civile, come già accadde nel secolo scorso - e anche allora i rom furono tra le vittime designate della violenza razzista. Mai come in questi giorni ci è apparso chiaro come avesse ragione Primo Levi nel paventare la possibilità che quell'atroce passato tornasse.