Pubblicato   da    www.americacallsitaly.org  luglio    2010.          HOME          

 

REFRENDUM  A POMIGLIANO

 

 

FATTI E PROSPETTIVE  

 Giovanni De Sio Cesari

 

Indice: i fatti - questione in gioco - sindacati in Italia - garantiti e non . economia globalizzata - Italia nella globalizzazione

 

 

 

Per un italiano d’America non è facile cogliere l’importanza e il senso di certi avvenimenti che accadono in Italia  per la grande differenza che esiste fra i due paesi per quanto riguarda il mondo del lavoro: cerchiamo di analizzare e di spiegare allora il significato del referendum di Pomigliano d’Arco

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I FATTI

 

Negli stabilimenti Fiat di Pomigliano D’Arco,in provincia di Napoli si è tenuto il giorno 22 giugno 2010  un referendum fra gli operai il cui effetto  potrebbe essere di enorme  importanza non solo per l’avvenire dello stabilimento  ma anche  per le relazioni fra imprenditori e lavoratori in tutta i Italia  in quanto costituirebbe un precedente indicativo per tutte le prossime vertenze. Forse un evento storico quindi per il  future e l’avvenire del paese.

 

La Fiat guidata da un italo canadese, Marchionne aveva delocalizzata  la costruzioni di auto in Polonia, essendo ivi le spese di  produzioni molto minori. Tuttavia ha anche in progetto di investire, nei prossimi anni, 700 milioni di euro per installare a Pomigliano la catena di produzione della Panda che dovrebbe  divenire l’auto di punta. Prima però Marchionne ha chiesto ai sindacati operai dello stabilimento un patto che rassicuri  sulla produttività: si tratta  di una serie di norme  fra cui le più importanti: 18 turni settimanali se necessario ( cioe lavoro anche il sabato straordinario regolarmente retribuito) e l’impegno a non scioperare almeno nei momenti di massima produzione. Inoltre la azienda si riserva di non pagare i primi tre giorni di assenza per malattia laddove ritenga che queste. benchè regolarmente documentate con certificato medico,  siano comunque pretestuose .

Il piano è stato accettato dai  sindacati  tranne che dalla FIOM aderente della CGIL ( il sindacato che era di ispirazione comunista ):  i primi sono stati sostenuti  da quasi tutte le forze politiche e dalla stessa CGIL mentre la FIOM  ha avuto l’appoggio della sinistra radicale e, in seguito, anche dall’IDV ( la formazione politica di Di Pietro )

Si è indetto quindi un referendum fra gli operai  che ha dato il 63 % di “si” all’intesa il 37 % di “no”: tutti si  aspettavano che i “si” fossero quasi all’unanimità

A questo punto la Fiat si è riservata una decisione che comunque non sarà imminente:  potrebbe in ipotesi delocalizzare la produzione in Polonia o in altro paese dell’est oppure costituire una nuova società: si chiuderebbe cioè l’attuale  stabilimento licenziando tutti gli operai e riassumendo subito dopo tutti quelli che accettassero l’intesa: la procedura, già in parte utilizzata dall’ALITALIA, è molto complessa e ai limiti anche della stessa legalità e costituzionalità

Un pò tutte le forze politiche affermano, ufficialmente,  che la FIAT comunque dovrebbe procedere all’investimento in quanto, comunque, il referendum ha dato esito positivo: tuttavia appare chiaro che nel complesso gli operai non sembrano dare garanzie sufficienti di mantenere poi l’intesa una volta che la FIAT  abbia  fatto l’investimento 

 

 

LA QUESTIONE IN GIOCO

 

 Il piano contempla maggior impegno lavorativo con una differente  distribuzione delle pause e turni: su questi punti pero l ‘intesa può essere trovata: Il problema più importante pero è che si chiede l’impegno a non  scioperare quando vi è necessità di produrre. In pratica  lo sciopero viene emarginato in contrasto alle leggi dello stato e  soprattutto con la  Costituzione che garantiscono invece ai lavoratore il diritto allo sciopero. Quindi è stato detto, fondatamente, che lo stesso referendum era illegittimo e privo comunque di valore perche, per un principio generale, non è possibile rinunciare a diritti costituzionalmente garantiti. E’ vero che la Costituzione parla anche di regolamentazione di diritto allo sciopero ma questo dovrebbe  essere stabilito comunque per legge e non demandato alle singole trattative che naturalmente svuoterebbero di significato il principio: sarebbe come permettere che si assumessero solo quelle persone che si impegnassero a non scioperare la qual cosa, nella difficoltà occupazionali presenti e strutturali, sarebbe come abolire questo diritto.

In sostanza la stessa funzione dei sindacati viene messa in discussone: senza  l’arma dello sciopero non si vede quale mezzo possa loro restare per difendere gli interessi e i diritti dei lavoratori.

Dall’altra parte si fa notare che il ricorso allo sciopero è stato spesso  eccessivo e pretestuoso e ha danneggiato fortemente la produttività e la competitività dell’Italia rispetto ad altri paesi , che esso andrebbe comunque regolamentato come in effetti è già avvenuto in molti settori, compreso quello pubblico.

Dalle indagini sul voto si è evidenziato  che i “no” sono stati soprattutto degli  operai più giovani : da qui molti hanno dedotto che i giovani non  vogliono rinunciare al rito del sabato sera anche a costo di perdere il posto di lavoro  a differenza dei più anziani che hanno già impegni di famiglia. Altri hanno però difeso il diritto dei lavoratori a non essere tutti assorbiti dal lavoro massacrante e alienante della fabbrica ed avere per se anche degli spazi di vita.

 In realtà la divaricazione fra giovani e maturi  si spiega con motivi generali:  presumibilmente i giovani di meno di 30 anni pensano di poter trovare anche un altro lavoro o magari tornare al mestiere che facevano prima di essere assunti alla FIAT il cui posto ormai non è poi tanto appetibile. Ma chi ha 45 anni, figli e mutuo a carico è terrorizzato dalla incubo di perdere il lavoro nella impossibilità di trovarne un altro ed entrare quindi nella lunga fila dei “nuovi poveri ” assistiti dalla associazioni caritative .

 Avviene allora che chi spera in un altro lavoro butti sul lastrico chi quella speranza ormai non ha più.

 

 

I SINDACATI IN ITALIA

 

Bisogna tener presente che gli  USA e l’Italia (in generale l’Europa) hanno avuto, storicamente, un diverso sviluppo delle condizioni  degli operai e del lavoro dipendente in generale . In USA i sindacati non hanno avuto la funzione e l’importanza che hanno avuto in Europa ;i miglioramenti delle condizioni dei lavoratori sono stati più che altro legati allo sviluppo generale dell’economia  che producendo in complesso una piena occupazione dava ad essi un buon  poter di contrattazione. ( vedi: La flessibilità del lavoro )

 In pratica un lavoratore USA trova abbastanza facilmente un altro lavoro da cui deriva una notevole  mobilita lavorativa: questo significa che se le condizioni offerte dal datore di lavoro non sono ritenute soddisfacenti il lavoratore  si cerca un altro lavoro che trova senza eccessiva difficoltà: il mercato del lavoro funziona come il principale mezzo di salvaguardia del livello del lavoratori .

In Italia invece il mercato del lavoro è estremamente asfittico: è sempre difficile trovare un lavoro  e in particolare perdere il lavoro, se si è ormai avanti con gli anni, significa in pratica restare disoccupato a vita e perdere ogni mezzo di sussistenza:  abbiamo  il fenomeno dei “nuovi poveri”, di persone, cioè. che hanno un discreto livello economico ma che all’improvviso perdono il lavoro e quindi si trovano senza mezzi di sussistenza e devono addirittura chiedere  aiuto alle organizzazioni assistenziali

Il lavoratore quindi non ha  in Italia, come in USA, un vero potere contrattuale: da qui una serie di leggi poste in essere dallo stato e sostenute fortemente dai sindacati per tutelare  i diritti dei lavoratori . Senza di essi il lavoratore sarebbe  del tutto indifeso di fronte al ricatto del datore di lavoro: o accettare qualunque condizione o non lavorare affatto visto che vi è sempre una serie di altri  disoccupati disposti a lavorare comunque e a qualunque condizione

Nel passato quindi sono state emanate una serie di provvedimenti con valore legale per dare garanzie ai lavoratori. e in particolare i sindacati ebbero un notevole potere di contrattazione. In pratica avviene che le condizioni siano decise attraverso trattative fra aziende e lavoratori: l’arma fondamentale dei lavoratori è lo sciopero che può bloccare la produzione e mettere quindi in grave difficoltà le aziende stesse.

Fino a che le condizioni economiche generali erano in continuo miglioramento il sistema, in pratica, ha assicurato ai lavoratori una adeguata partecipazione allo sviluppo economico, fino agli anni 70.

Ma il sistema è entrato in difficoltà quando lo sviluppo economico ha cominciato a ristagnare o andare addirittura in crisi: i sindacati chiedono sempre ulteriori miglioramenti ma la situazione economica non lo consente e a volte non consente nemmeno il mantenimento dei livelli precedenti. Inoltre si accusa spesso i sindacati di conflittualità eccessiva e pretestuosa e di abusare delle garanzie acquisite

Ad esempio per l’art,  18 dello “Statuto dei lavoratori£,  il lavoratore non può essere licenziato senza giusta causa il che se da una parte garantisce il lavoro ma dall’altra parte fa perdere all’azienda la possibilità  di allontanare i  dipendenti che non si mostrano impegnati. Analogamente la libertà di sciopero si traduce in continui e pretestuosi interruzioni di lavoro che danneggiano gravemente la produttività e la competitività delle aziende

 

 

GARANTITI E NON 

 

Tuttavia le garanzie sul lavoro  e il ruolo di sindacati si applica solo alle aziende più grandi ( che abbiano più di 15 addetti ) e, soprattutto, alle grandi aziende e non a quelle piccole e piccolissime.

Il fatto  ha prodotto. in pratica, categorie di lavoratori protetti e  anche super protetti e altre invece prive di garanzie a volte anche minime  I  dipendenti pubblici ( stato e parastato  ) in pratica non possono essere licenziati a meno di azioni e fatti eccezionali  ed eclatanti : sono quindi iperprotetti: possono anche impegnarsi al minimo  anche perche in generale le progressioni di carriera sono automatiche per anzianità  Un professore o un giudice in qualunque modo lavorino, che mostrino capacita o impegno  eccezionali o modeste capacità e scarsissimo impegno  guadagnano sempre  lo stesso e fanno comunque   la stessa carriera: celebre il caso del giudice Falcone, il più ammirato dei  magistrati italiani di tutti i tempi, che non  ottenne una promozione richiesta perche un altro giudice, del tutto senza meriti particolari, aveva una maggiore anzianità. Gli addetti alla grande industria non hanno gli stessi privilegi ma comunque sono ampiamente tutelati  per il mantenimento  del posto di lavoro , ferie, straordinari e tutto le altre provvidenze  

La meritocrazia che negli USA è un pilastro basilare  nel mondo del lavoro in Italia ha poco posto

I lavoratori  delle piccole  imprese  non hanno invece, in concreto, le stesse garanzie perchè possono  essere licenziati in ogni momento: in pratica sono costretti ad accettare ogni cosa, anche al di fuori della legge, per  non perdere  il posto di lavoro . In particolare ci sono i  lavoratori precari:  assunti cioe per un certo periodo  finito il quale devono cercarsi altro lavoro: una condizione estremamente penosa che non permette nemmeno di aprirsi una famiglia per la quale si deve contare su una certa sicurezza.

Grande poi è il numero di giovani e non più giovani (licenziati,) che sono in affannosa ricerca di lavoro, qualunque esso sia: spesso  imprenditori senza scrupoli promettono un lavoro dopo un lungo periodo di prova nel quale questi lavorano  senza o quasi  retribuzione : finito il periodo con una scusa non li assumono più e prendono altri che lavoreranno anche essi gratis!!! 

 

 

L’ECONOMIA GLOBALIZZATA

 

Ma forse il punto d vista da cui valutare i fatti di Pomigliano  non è quello delle nostro paese, dei nostri sindacati, delle conquiste normative dei nostri lavoratori  e delle nostre leggi e della nostra  Costituzione ma quello della attuale economia globalizzata a livello mondiale  Allora Il punto essenziale puo essere  uno solo. semplice e drammatico: la economia moderna ha portato a imprese di livello internazionale che, per mantenersi concorrenziale sul mercato internazionale, devono produrre laddove i costi sono minori o, meglio, la produttività maggiore: da qui lo spostamento della produzione (a cui segue quello della ricchezza effettiva) verso tutti quei paesi che, a parità di capacità, abbiano costi più bassi e maggiore produttività Nel nostro caso non si tratta della Cina o dell’India ma dell’est europeo per noi cosi vicino e cosi concorrenziale.

Le conseguenze della globalizzazioni sono imponenti: l’est del mondo avanza (i paesi asiatici ed ex comunisti dell’Europa), il sud sprofonda ancora di più (l’africa e il mondo arabo.  incapace di competere tecnicamente e in preda a guerre intestine), l’Occidente arretra visibilmente e ineluttabilmente.

Il dramma  di Pomigliano è solo una degli infiniti effetti di un tale rivolgimento storico paragonabile, a nostro parere, a quello che qualche  secolo fa, portò alla egemonia tecnica e culturale dell’Occidente.

 

Nel  caso di Pomigliano non ha molto senso attribuire ragione e torti, discettare se  i sindacati  difendano i giusti diritti  degli operai o Marchionne sia  un bieco profittatore  Si tratta di un fatto oggettivo: se la FIAT non rimane concorrenziale  sul piano internazionale la FIAT sparisce : tutto qui:

  La domande giuste sarebbero allora le seguenti:

·        senza il piano Marchionne e con le presenti procedure  la FIAT resterebbe concorrenziale ( quindi esistente? )

·        il piano Marchionne basta per mantenere la FIAT  competitiva?

·        oppure nemmeno esso basta? 

Nel primo caso il piano sarebbe da respingere, nel secondo da accettare, nel terzo sarebbe praticamente inutile . La prima ipotesi  ci pare difficile da sostenere, la terza dobbiamo sperare  che non si manifesti

 Cosa resta effettivamente da discutere? Se il piano Marchionne riesce a mantenere la FIAT in Italia dobbiamo essergli tutti grati : questa è l’amara verità

 

 

L'Italia  nella globalizzazione

 

Possiamo pensare a provvidenze statali come sgravi fiscali e simili. Certo e’ 'una soluzione sempre invocata e spesso attuata: pero significa in sostanza che la collettività si addossa la differenza dei costi con l'estero

Prescindiamo  che questa procedura non è più ammessa nell’ambito dell’Unione Europea. Ma noi siamo  in piena e grave crisi finanziaria: se non vogliamo arrivare  al fallimento nazionale bisogna ridurre le spese: in Italia vi è una finanziaria che taglia le spese dovunque e non si sa come fare: perfino i servizi per gli handicappati sono in crisi Nel resto d’Europa i tagli  sono stati ancora più forti

Se la collettività finanzia le imprese avviene che l’impresa sia in attivo ma la comunità in passivo

Se, come giustamente affermava  Marx, sono i rapporti economici a determinare le regole civili e non viceversa, allora ci accorgiamo che molte delle nostre conquiste normative del lavoro non reggono più e, di fatto non sono più applicate nella maggior parte dei casi: malgrado tutto. alle condizioni – capestro di Marchionne non solo vorrebbe lavorare ogni operaio cinese ma anche una sterminata fila di italiani giovani laureati, precari e sottopagati, dai call center ai villaggi turistici

E d’altra parte da una ventina di anni la legislazione in pratica ha creato tante eccezioni per cui in effetti molte delle garanzie che i dipendenti avevano un tempo non sono più operanti per la maggior parte dei lavoratori, a parte i privilegiati fra cui sarebbero da mettere quelli della grande industria.

Un tempo l’Italia era in espansione, perche era la Cina dell’Occidente e con lo sviluppo generale si potevano avere  condizioni di lavoro sempre migliori perche, comunque,  erano poi inferiori a quelle dei nostri concorrenti ma ora c’è una fila sterminata di paesi  nei quali è più economico produrre che in Italia,PURTROPPO

 

E un antico vizio dell’Italia di avere due realtà una di carta  e una reale che non corrispondono

Da una parte abbiamo la costituzione, le leggi,lo statuto dei lavoratori e dall’altra un paese  che non corrisponde più a quelle norme: che importa se Pomigliano chiude , i principi sono  salvi?

Ma al lavoratore  interessano poco i cavilli , leggi e costituzione e statuti: a lui importa la realtà effettiva E la realtà effettiva è che il lavoro scarseggia sempre di più e quello che si trova bisogna prenderlo cosi  come è

Quello che occorrerebbe sarebbe di rivedere tutta la legislazione del lavoro che ormai non ha più nessuna organicità, costituisce isole felici e isole dannate: ma quale governo vorrà mai sfidare la impopolarità che verrebbe da una peggioramento delle condizioni operaie?

Il fatto è che una decisione cosi importante per tanti venga presa per referendum da un numero cosi piccolo di persone prese praticamente a caso .data  la assenza di decisioni che andrebbero prese al livello politico più alto

 

Come sempre nella storia. quando manca  il potere centrale ciascuno si arrangia  come meglio può, per conto proprio

 

 

 

 

 

 


Il che fare di Pomigliano

Mario Tronti

l Manifesto,24/06/10


Lo slogan «da Pomigliano non si tocca a Pomigliano non si piega» è emerso dall'interno di una conricerca che un gruppo di giovani ricercatori del Crs sta conducendo da tempo in quella fabbrica insieme agli operai. Descrive l'arco di sviluppo della vicenda, fino all'esito a sorpresa del referendum: dalla difesa del posto di lavoro alla rivendicazione della dignità e della libertà del lavoratore. La posta in gioco infatti si è alzata. E chi l'ha alzata imprudentemente è stato l'intelligentissimo ed efficientissimo management Fiat, con una ben orchestrata manovra politica su una delicata situazione economica. Hanno commesso un errore. E una volta tanto hanno perso.
Non era solo Marchionne. E non ha perso solo lui. Mi sono chiesto: perché la questione Pomigliano è salita al centro dell'attenzione politica, primi titoli sui giornali, prima notizia nelle tv? Era forse morto per incidente sul lavoro un grappolo di operai, unico motivo di visibilità per queste sottopersone? No, semplicemente si tentava un colpo in fabbrica, in un pezzo di paese, per dire a tutti che cominciava una nuova età di rapporto tra impresa e lavoro - l'ormai famoso e incredibilmente supponente dopo Cristo - e che esemplificava brutalmente ed empiricamente l'intento più generale di rovesciare il dettato costituzionale del vetusto, avanti Cristo, art. I, Repubblica democratica fondata sul lavoro. Nell'impresa comando io, se volete lavorare queste sono le condizioni, non trattabili, dovete solo dire si o no, l'unico sindacato ammissibile è il sindacato di collaborazione, niente più, mai più, sindacato di conflitto. Il direttore del Sole24ore diceva: lì si gioca una partita del campionato del mondo nella globalizzazione, il fondatore di Repubblica sentenziava, come fa ormai profeticamente: non è un ricatto, è la pura realtà, e così via.
In verità il modello non era nuovo, celebrava un trentennale, anno 1980, sempre Fiat, stessi moduli, perfino la marcetta dei disponibili, e questa volta dei ricattati. Sotto il pullover sono rispuntati Valletta e Romiti, dei bei tempi Cinquanta e Ottanta. Qualcuno sa che a Nola c'è un reparto confino, dove vengono spediti gli insubordinati di Pomigliano? La Fabbrica che si intitola a Gianbattista Vico ripropone corsi e ricorsi.
La notizia qual è. E' che questa volta gli è andata male. E gli è andata male per il solo merito di quel 40% di operai che hanno detto: non ci stiamo. E per il solo altro merito di quella Fiom, che si voleva sconfiggere una volta per tutte, ultimo residuo di una conflittualità operaia, estrema espressione fuori tempo di quella novecentesca - e oggi dire novecentesca è come dire medioevale - lotta di classe.
Insomma, l'hanno voluta mettere sul piano simbolico e sul piano simbolico hanno rimediato una sconfitta. Guardate come arretrano i grandi organi di opinione: ma forse c'è ancora un problema lavoro, ma dunque c'è lavoro materiale e non solo immateriale, ci sono tute blu e non solo camici bianchi, c'è il salario e non solo partite Iva.
Eppure il punto da mettere in evidenza non è questo. Chi se ne importa di quello che dicono. Il fatto da cui bisognerebbe ripartire è questo nuovo livello di conflitto emerso nella vicenda, che loro hanno evocato e che quegli eroici «no» hanno rovesciato: da un lato ricchezza e potere dall'altro dignità e libertà. Da un lato l'arroganza di chi credeva di avere tutto nelle proprie mani, dall'altro chi ha rivendicato l'indisponibilità di alcune cose precise. Voi mettete 700 milioni e io vi dico che non mi vendo per questo, non metto a vostra disposizione la mia persona, rischio il lavoro ma tengo la testa alta e la schiena dritta. Una lezione. Non morale, ma politica. Viene da quel mondo. E apre una nuova frontiera a una sinistra moderna.
Non direi tanto lavoro e diritti. Direi di più lavoro e persona. Quel referendum in quel modo, sotto quelle condizioni, come ricatto sulla vita, sull'esistenza delle persone, non andava accettato. Era dovere di tutta la Cgil, era dovere di tutto il partito democratico, mettersi di traverso. Mi interessano qui meno gli sbreghi alla legalità, che pure c'erano, erano gravi e vanno ancora denunciati. Quel referendum era politicamente illegittimo. Era finalizzato a mettere gli operai contro la loro organizzazione e a mettere gli operai contro altri operai. Esito questo ancora presente, se dovessero emergere reali pericoli per l'occupazione. Adesso bisogna ricostruire una unità di lotta e costringere il padrone a trattare. La Fiat oggi è più debole e meno lucida, come si è visto dalle prime reazioni. E il governo non ha proprio niente da dire. Bisogna non aspettare, passare all'attacco, come sindacato generale e come partiti politici, proporre soluzioni e far cadere la discriminante anti-Fiom. E' il programma minimo.
Ma c'è un compito di più lungo periodo. La lezione va appresa. Il Pd ha preso sabato scorso una lodevole iniziativa: un'assemblea popolare contro la manovra governativa. Mi dicono sia riuscita molto bene, soprattutto nel discorso appassionato del segretario. Si poteva fare di più e meglio. In quella settimana, con rapida decisione, ad esempio, spostare il raduno dal Palalottomatica a Pomigliano. Senza tante parole, con un solo gesto, si sarebbe fatto capire che cos'è, e che cosa dovrebbe essere, un partito che si colloca in quello spazio fisico del Parlamento e del Paese. Non si trattava nemmeno di prendere posizione sul come votare, ma solo di stare lì, con gli operai del si e del no, a giocare la partita e non a vederla in tv. I giornali-guida del centro-sinistra li avrebbero colti in fallo al richiamo della foresta. I nativi sarebbero rimasti sconcertati, perché, immagino, la parola operai è come la parola compagni, qualcosa che non appartiene alla «loro» tradizione. Ma un popolo avrebbe respirato. E certo, non il popolo viola, che cercasi invano nei dintorni del problema Pomigliano. C'è da arrabbiarsi di fronte a certe mancate occasioni. E badate che questa rabbia cresce, è più diffusa di quanto si pensi. La sento arrivare su di me da varie parti. E solo per questo la esprimo. E non è un'istanza distruttiva, è un'energia positiva, nascosta nel fondo del paese, che bisogna far emergere, e farla parlare e parlare ad essa con le parole della politica, sottraendole le parole dell'antipolitica, con cui troppo spesso è costretta ad esprimersi. Occorre tornare a dirigere, a orientare, a indirizzare, per grandi segnali, in luoghi giusti e negli spazi che contano e che fanno veramente la differenza.
Il problema non è il Cavaliere, il problema è il Cavallo, e cioè questo modo d'essere che occupa le nostre vite e che osa sempre di più per avere un comando assoluto, modo d'essere di privilegi intoccabili, di poteri arroganti, di ingiustizie palesi, di sistema di leggi eterne, oggettive, dicono, nei cui confronti non c'è niente da fare se non piegarsi e obbedire. Ascoltateli questi «no» di Pomigliano: segnano il «che fare» per un'operazione forte di un grande partito a vocazione alternativa.

 

 

 

I

La catastrofe del lavoro

di ADRIANO SOFRI

Repubblica , 22/06/10

 

La crisi, restituendo agli Stati un più forte intervento economico - senza per questo ridurre la sovranità delle grandi multinazionali - sospinge il lavoro salariato verso un rinnovato "sacro egoismo". Pomigliano ha reso clamorosa questa condizione

 

SE esistesse oggi un'Internazionale dei lavoratori, dovrebbe ammettere una catastrofe simile a quella che travolse la Seconda Internazionale nel 1914, quando le sue sezioni nazionali aderirono al patriottismo bellico, e i solenni principii andarono a farsi benedire. L'Internazionale non esiste e la crisi finanziaria ed economica non è (per ora) una guerra armata. La Seconda Internazionale era stata largamente partecipe dei pregiudizi e delle convenienze colonialiste: differenza minore, dal momento che lavoratori e sindacati dei paesi ricchi si sono guardati finora dall'affrontare il colossale divario con la condizione del proletariato dei paesi poveri.

La crisi, restituendo agli Stati un più forte intervento economico - senza per questo ridurre la sovranità delle grandi multinazionali - sospinge il lavoro salariato verso un rinnovato "sacro egoismo". Pomigliano ha reso clamorosa questa condizione. La Cina è vicina, e gli scioperi della Honda o della taiwanese Foxconn (e i suicidi operai) mettono in vetrina l'andamento da vasi comunicanti che Scalfari ha qui illustrato: gli operai cinesi rivendicano salari meno infimi e condizioni di lavoro meno infami e gli operai occidentali diventano più cinesi. Il punto però è che la nuova Panda ha messo in concorrenza diretta lavoratori italiani e lavoratori polacchi, cioè di due paesi dell'Unione Europea. E anche se una rilocalizzazione italiana dall'est europeo è inedita, come vanta Marchionne, è vero però che da anni la minaccia di trasferire la produzione in Ungheria o in Romania è valsa a far accettare nell'industria occidentale sacrifici di lavoro e salario non molto dissimili da quelli che si impongono a Pomigliano.

In Germania, la difesa dell'occupazione è costata, ben prima della crisi finanziaria, un forte allungamento dell'orario di lavoro a parità di salario - alla Opel da 38 a 47 ore! A Bochum, nel 2004, si trattò proprio di sventare il trasferimento in Polonia. In Francia le 35 ore erano legge, e sono un ricordo imbarazzato. Oggi, alla Opel, saturati i tempi, gli operai cedono - agli investimenti aziendali, a fondo perduto - una metà di tredicesima e quattordicesima, un mese di salario. Il ritorno a un protezionismo "nazionale" fu vistoso con il prestito offerto dalla Merkel alla Magna in cambio della salvaguardia dell'occupazione tedesca, violando le regole europee sulla concorrenza. Ma si tratta di una tendenza generale, di cui gli incentivi governativi alla Fiat furono un capitolo ingente. Sarebbe interessante sapere in quante fabbriche italiane (Fiat inclusa) condizioni di lavoro largamente simili a quelle imposte a Pomigliano sono già in vigore.

Se dunque non c'è una capacità, e neanche una vera volontà - a parte la lettera "di bandiera" di un gruppo di operai di Tichy - di animare una solidarietà europea, tanto meno ci si attenterà a immaginare una simpatia e un legame fra gli operai di Pomigliano e di Tichy e gli scioperanti e i suicidi di Shenzhen, i quali per giunta fabbricano (sono 400 mila solo alla Foxconn) componenti elettroniche per il mondo intero, e non un prodotto esausto come l'auto, sia pure la nuova Panda. Nel momento in cui accentua la sua internazionalizzazione, la Fiat "nazionalizza" gli operai di Pomigliano, con un ultimatum prepotente perfino nel tono. A sua volta, in un gioco delle parti di cui non è affatto detto che sia voluto - che Sacconi e Marchionne siano in combutta: anzi - il governo prende la sfida della Fiat a pretesto per l'abolizione dei contratti nazionali, la liquidazione simbolica della Costituzione, la sostituzione dei "lavori" ai lavoratori, delle cose alle persone. (L'autocertificazione per cui oggi si pretende di rifare la Costituzione, veniva garantita dal Capezzone quondam radicale in un progettino dal titolo "Sette giorni per aprire un'impresa").

La famigerata "anomalia" di Pomigliano è perciò largamente pretestuosa: serve a far passare per una cruna il cammello del conflitto sociale e dei diritti sindacali. Un precedente prossimo c'è, ed è l'Alitalia: anche lì era facile trovare le anomalie, e fare piazza pulita delle norme. Pomigliano è "anomala" dalla fondazione, come ha raccontato Alberto Statera, con la sua combinazione fra una maggioranza di operai venuti dalla campagna e da assunzioni clientelari, e una minoranza di reduci da altre fabbriche e lotte. Si raccontava, il primo giorno dell'Alfasud, che fossero entrati in fabbrica 3 mila operai, e ne fossero usciti 2.980, perché venti erano evasi durante l'orario di lavoro, avendone già abbastanza. Ma l'industria cinese, quella che fabbrica gli iPad, è fatta largamente di contadini scappati dai villaggi.


Sarà vero che al direttivo provinciale di Cisl e Uil partecipano seicento dipendenti di Pomigliano? Marchionne deve saperlo, e non da oggi. Deve averci pensato almeno da quando ribattezzò la fabbrica col nome di Giambattista Vico, per riparazione: il più grande intellettuale della Magna Grecia. Non bastava un'intitolazione a passare dall'assenteismo alla scienza nuova, e nemmeno la deportazione dei cattivi a Nola. Ma appunto, il colore locale fa comodo a tutti, e anche a rovesciarlo in un ipertaylorismo - parola buffa, perché il taylorismo è iperbolico per definizione, e caso mai bisogna ridere amaro delle chiacchiere sulla fine del lavoro manuale e della fatica. I 10 minuti in meno di pausa - su 40 - la mezz'ora di mensa spostata a fine turno, e sopprimibile, lo straordinario triplicato - da 40 a 120 ore - e una turnazione che impedisce di programmare la vita, sono già un costo carissimo. Aggiungervi le limitazioni allo sciopero e il ricatto sui primi tre giorni di malattia è una provocazione o un errore, di chi vuole usare Polonia e Cina per insediare un dispotismo asiatico in fabbrica qui, quando la speranza è che l'anelito alla dignità e alla libertà in fabbrica faccia saltare il dispotismo in Cina.

Non c'è l'Internazionale, viene fomentata la guerra fra poveri, si fa la guerra ai poveri, questa sì dappertutto. Perché l'altra lezione venuta in piena luce grazie a Pomigliano è che la storia degli operai "garantiti" opposti ai "precari" era del tutto effimera, e i nodi sono al pettine, per operai e pensionati. Termini Imerese chiude, Pomigliano chissà, Mirafiori... Chi garantisce chi? Dei due modelli presunti - lavorare di meno o consumare di più - è destinato a prevalere, da noi ricchi, il terzo: lavorare di più e consumare di meno. Il "movimento epocale" di redistribuzione del reddito, invocato da Scalfari, va insieme a un cambiamento radicale dei modi di vivere e consumare (si chiamano, chissà perché, "stili": come se ci fosse stile in una coda di autostrada). Erano provvisori i "garantiti", siamo provvisori "noi ricchi" del mondo.

Questione di tempo, e l'economia va più svelta della stessa demografia. Prediche al mondo vorace che esce dalla povertà a spallate, perché non si ingozzi di automobili e telefonini come noi, non ne possiamo fare. Abbiamo dato l'esempio dell'ubriachezza consumista, possiamo solo provare a darne uno pentito, di sobrietà. Sbrigandoci.

 

 

 

 

 

 

POMIGLIANO E LE DEROGHE AI CONTRATTI

Il lavoro da salvare

Dario Di Vico

Corriere della sera, 13/96/10;

Appena si prospetta un vero quesito il sistema italiano delle relazioni industriali imperniato su contratti nazionali e Statuto dei lavoratori appare per quello che è: irrimediabilmente datato. È fermo alla sua età dell’oro, costruito attorno a un’idea novecentesca della competizione economica. Non capisce come la globalizzazione abbia allargato il campo di gioco e spinga a delocalizzare. Non sa che le divisioni tra lavoro dipendente e autonomo hanno molto meno senso di prima. Impedisce alle piccole imprese di crescere per non incamerare nuovi vincoli. Fa finta, infine, di non vedere che in Italia operano centinaia e centinaia di lavoratori asiatici in condizioni di schiavitù.

Non bastassero questi palesi segni di senescenza le relazioni industriali centralizzate dimostrano di non essere attrezzate a far fronte alla nuova emergenza, la disoccupazione. Nei prossimi mesi conosceremo un po’ di ripresa, ma non avremo occupazione in più. Gli americani la chiamano jobless recovery, vuol dire che crescita e occupazione non sono più sinonimi. Hanno divorziato. I posti di lavoro persi non verranno recuperati e la ristrutturazione delle imprese, pur virtuosa, taglierà gli addetti.

A tutt’oggi nel dibattito politico-sindacale questa novità non è stata metabolizzata. Non vogliamo convincerci che è finito il tempo delle vacche grasse e che siamo chiamati a ridiscutere conquiste che davamo per acquisite sine die. Per evitare il tracollo bisognerà sperimentare soluzioni innovative. Magari estranee alla nostra tradizione, ma che intelligentemente «tradotte» possono salvaguardare la coesione sociale.

È questo il contesto nel quale va collocato il rebus di Pomigliano, la scelta che sta di fronte al sindacato di consentire una deroga ai «sacri principi». Se applicassimo il mero buon senso la questione sarebbe già risolta. Può permettersi il nostro Sud, quello che teme di diventare una delle periferie povere dell’Europa, di «rifiutare » un investimento di 700 milioni di euro e 5 mila posti di lavoro? Ovvio che no. Ma questa considerazione non è sufficiente a convincere la Fiom votata a difendere il mito del conflitto più che la massima occupazione. Però per questa via — e la preoccupazione attraversa la stessa Cgil—si finisce per scambiare i mezzi per i fini e non si tiene conto che impedire la delocalizzazione degli investimenti rafforzerebbe il sindacato agli occhi dei lavoratori. Toglierebbe, infatti, alle aziende qualsiasi alibi per comportamenti corsari e rimetterebbe al centro la qualità della manodopera e del prodotto made in Italy.

Chi difende i sacri confini della contrattazione nazionale come una trincea in cui combattere o morire, dimentica poi (incredibilmente) che la negoziazione a livello aziendale e settoriale non equivale alla morte del sindacato. Anzi. Se ne parla troppo poco ma sono stati raggiunti a livello decentrato molti accordi innovativi, numerose intese che guardano coraggiosamente al domani senza paura di «sporcarsi le mani», come si dice in gergo. E proprio in virtù di queste esperienze condivise il ministro Sacconi ha potuto annunciare a Santa Margherita Ligure che il nuovo Statuto dei lavori prevederà esplicitamente la possibilità di derogare alla legge 300 in presenza di un’intesa tra le parti. Una novità non da poco.